Home Focus on projects Romeo Castellucci in residenza al Teatro La Fenice di Senigallia
Romeo Castellucci in residenza al Teatro La Fenice di Senigallia

Romeo Castellucci in residenza al Teatro La Fenice di Senigallia

62
0
Romeo Castellucci Senigallia
Mattei – Castellucci – Santini

Non si incontrano spesso i grandi Maestri, ma quando succede questi momenti necessitano di essere registrati. È quello che è accaduto venerdì 18 luglio quando Romeo Castellucci – regista e fondatore della compagnia Societas Raffaello Sanzio, una delle più note a livello internazionale per la dirompente forza visiva e rivoluzionaria del teatro contemporaneo – ha tenuto una conferenza stampa in occasione della sua residenza presso il Teatro La Fenice di Senigallia.
Per i primi venti giorni di luglio Castellucci ha infatti abitato il teatro senigalliese per allestire Go down, Moses – spettacolo che ha e avrà ancora una lunga gestazione: dopo la prima prova aperta del 22 luglio a Senigallia, seguirà la seconda prova aperta a Losanna a ottobre e il debutto a novembre a Parigi, per poi tornare in Italia a Roma a gennaio al Teatro Argentina.

Non è la prima volta che Castellucci occupa in “residenza creativa” il Teatro La Fenice – come ricorda il Dirigente Area Turismo Promozione e Sviluppo Economico di Senigallia Paolo Mattei – dato che la Societas Raffaello Sanzio si era servita dell’enorme spazio della cittadina adriatica anche in occasione degli spettacoli Purgatorio e Il velo nero del pastore. «Rinnovare un incontro significa confermare una vocazione di questo luogo che ha un palco generosissimo e una versatilità di spazi incredibili; ci troviamo di fronte a un teatro vero e proprio promotore di cultura» ha specificato Mattei. E il direttore di Amat Gilberto Santini, dopo aver puntualizzato di come sia un’occasione gratificante quella di rinnovare l’incontro tra Amat / Comune di Senigallia e Societas Raffaello Sanzio, ha condotto un dialogo interessantissimo proprio con Castellucci, chiedendo in primis perché indagare la figura di Mosè oggi. «Mosè è per me una figura di riferimento, tanto da essere presente anche ne Il velo nero del pastore, dove il pastore si velava il volto proprio come Mosè si vela il volto davanti a Dio», ha risposto Castellucci specificando come «Dio chiede a Mosè di formare una nazione e liberare un popolo, ossia gli ha affidato un peso enorme: il profeta ne è schiacciato e mostra il suo tratto più umano, proprio come fa il Mosè di Michelangelo nel suo scatto d’ira in cui è scolpito. Mosè dubita e rappresenta così la fragilità davanti a Dio. Come Mosè, è attuale anche la parola ‘esodo’, perché si parla di una terra promessa che non vedremo mai». Castellucci si dichiara non credente e specifica come la sua ricerca teatrale non nasca dal bisogno di cercare Dio, ma sia orientata dall’arte;  puntualizza inoltre come la ricerca di Dio rappresenti per lui la tensione più nobile e alta dell’uomo.

Mattei - Castellucci - Santini
Mattei – Castellucci – Santini

Ritornando all’Esodo, Santini ha sottolineato come questo libro possa essere una miniera da cui attingere immagini e visioni, a cui il regista ha aggiunto come sia in realtà anche pieno di contraddizioni dove convivono un Dio spietato e dialoghi di bambini di 8 anni; ma ci sono dei lati misteriosi presenti pure nell’Antico Testamento che qui, in Go down, Moses, vengono riproposti in chiave figurativa e legati all’interpretazione che ciascun spettatore vuole darne.
Go down, Moses è stato infatti presentato come un canto spiritual, non tanto come uno spettacolo narrativo – c’è un collegamento con i neri d’America che con il loro canto, omonimo al titolo di questo lavoro teatrale, si sono rivolti a Mosè in quanto liberatore di una comunità, sperando che potesse aiutare anche il popolo nero. Non è uno spettacolo che mette in scena la vita biografica di Mosè attraverso un andamento narrativo: ci sono immagini che funzionano per associazione, sono linee spezzate come per esempio alcuni ‘quadri’ che si riferiscono alla storia di un’infanzia abbandonata.

Castellucci ha preferito però non spiegare le immagini: per lui lo spettatore ideale è uno spettatore il più possibile ignaro, pronto a immergersi in una tensione drammatica che lo accompagna nei giorni successivi. Le linee del lavoro del regista di Societas Raffaello Sanzio convergono infatti più tardi, impossibile dire e esprimere a caldo, subito dopo la visione, quello che si è vissuto.

Dalla presentazione del foglio di sala della prova aperta di Go down, Moses:
Il lavoro intende affrontare i differenti momenti della vita di Mosè, così com’è narrata nell’Antico Testamento. Nelle vicende di quest’uomo vi è qualcosa che inerisce la sostanza del nostro tempo. Come nel Mosè di Michelangelo – descritto nelle pagine che Freud ha dedicato a quest’opera – il profeta del monoteismo è qui presentato come un uomo reale, che reagisce di fronte alle difficoltà che Dio gli pone innanzi: a partire dall’infanzia, con l’abbandono nelle acque del Nilo, fino al mistero del roveto ardente dove si manifesta – nel kabod – l’abbacinante e terribile splendore della gloria di YHWH – per arrivare ai 40 giorni passati sul monte Sinai, dove riceve le tavole della legge per poi, al suo ritorno, scoprire il vitello d’oro eretto dal popolo. Il personaggio Mosè è dissolto nelle scene, tralascia la narrazione biografica per estendersi su concetti, sentimenti e caratteri presaghi di una rivelazione che agisce ora, nel tempo attuale. Mosè è avvicinato allo sguardo dello spettatore, sostanziando ogni elemento sensibile dello spettacolo, concepito per quadri e frammenti; vibrazioni psichiche che emergono come increspature nello spazio-tempo della vita, quotidiana e insieme oscuramente percepita come esilio. Il titolo evoca la celebre canzone spiritual degli schiavi d’America, che identificavano il popolo ebraico come il simbolo e la preveggenza di un loro ritorno all’Africa, così come gli israeliti furono capaci di ritornare dall’esilio di Babilonia e – grazie a Mosè – affrancarsi dalla schiavitù di Egitto. Così ora, il canto degli schiavi d’America, può risignificare la condizione della nostra schiavitù incorporea, in esilio dall’essere. Due immagini, in effetti, convogliano e guidano questo lungo spettacolo, come le facce di una stessa medaglia: il roveto ardente, che rappresenta la vera immagine, che nega ogni rappresentazione – “ io sono colui che sono” e il vitello d’oro, che invece raffigura la falsa immagine, quella illustrativa di quella stessa frase. Tutto quello che sta in mezzo è l’oggetto di questo lavoro.

regia, scenografia, luci e costumi Romeo Castellucci
musica Scott Gibbons
con Gloria Dorliguzzo, Luca Nava, Gianni Plazzi, Stefano Questorio, Sergio Scarlatella
e con Mauro Barbiero, Lorenzo Bastianelli, Novella Palandrani, Marco Romagnoli e Clementina Verrocchio

assistente scenografo Massimiliano Scuto
assistente alla creazione luci Fabiana Piccioli
assistente alla composizione sonora Asa Horvitz

direzione alla costruzione scenica Massimiliano Peyrone
tecnica di palco Michele Loguercio, Lorenzo Martinelli, Filippo Mancini
tecnica del suono Matteo Braglia tecnica delle luci Danilo Quattrociocchi
produzione Benedetta Briglia, Cosetta Nicolini
promozione e comunicazione Gilda Biasini, Valentina Bertolino
amministrazione Michela Medri, Elisa Bruno, Simona Barducci
consulenza amministrativa Massimiliano Coli

produzione Socìetas Raffaello Sanzio
in co-produzione con Théâtre de la Ville e Festival d’Automne à Paris; Théâtre de Vidy-Lausanne; Desingel International Arts Campus / Antwerp; Teatro di Roma; La Comédie de Reims; Maillon, Théâtre de Strasbourg / Scène Européenne; La Filature, Scène Nationale-Mulhouse; Festival Printemps des Comédiens; Athens Festival 2015; Adelaide Festival 2016 Australia; Peak Performances 2016 Montclair State-USA
si ringrazia per la collaborazione Comune di Senigallia / Assessorato alla Promozione dei Turismi, Manifestazioni e AMAT

 

(62)