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Sull’esperienza “Pinocchio” di Babilonia Teatri

Sull’esperienza “Pinocchio” di Babilonia Teatri

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Al Teatro Gentile di Fabriano il 15 dicembre è andato in scena Pinocchio di Babilonia Teatri. Per la prima volta la compagnia di punta dell’avanguardia teatrale italiana ha incontrato la realtà silenziosa di chi è uscito dal coma. Con la compagnia bolognese Gli Amici di Luca, i registi Valeria Raimondi e Enrico Castellani danno vita a uno spettacolo in cui 3 uomini, che hanno intravisto l’atto finale delle proprie vite, si sono risvegliati dal coma e raccontano di loro. Pinocchio, il grillo parlante, la fata turchina e il paese dei balocchi diventano metafore di esperienze reali. Nessuna fiaba in scena: solo persone vere, corpi che urlano storie non edulcorate.
Uno spettacolo che non lascia indifferenti: qui sotto troverete degli spunti di riflessione di due spettatrici che hanno partecipato alla serata e che sono rimaste molto colpite e un articolo di una delle giovani insegnanti del progetto Scuola di Platea.

Pinocchio mi ha turbata emotivamente, l’impatto con dei corpi che hanno vissuto un trauma, diciamo così, mi tocca le corde emotive e vivo una sofferenza immediata, non mia né propriamente loro.
In questo spettacolo l’umanità è lì sul palco con la sua fragilità bellezza ironia e profondità.
Sono riusciti a giocare con l’apparente dicotomia tra essere e corpo: nei dialoghi i corpi scomparivano e con loro le differenze, rimaneva l’individuo, l’uomo con i suoi pensieri; un attimo dopo il corpo veniva fatto riemergere e così l’attenzione non poteva non focalizzarsi sulla difficoltà e la sofferenza e il trauma; e poi, e poi mille riflessioni sulla differenza tra la vita di ieri e di ora e le persone che erano, il ricordo che ognuno aveva di se stesso e la realtà presente dopo il risveglio dal coma, una vertigine, un taglio netto eppure come si sono trovati paradossalmente più aderenti a se stessi e quindi più autentici.
Uno spettacolo di una profondità immensa, ricco di spunti di riflessione, intenso e forte. Bellissimo.
Grazie.
Michela Forconi

 

Era un po’ di tempo che non mi appuntavo pensieri dopo uno spettacolo. Stavolta ho cercato il taccuino freneticamente dentro la borsa. Ma senza far rumore. Ci ho messo un po’. Tanto alcune cose mi sfuggono lo stesso. Il grande teatro, il Gentile, ha ospitato Babilonia Teatri e tre ragazzi usciti dal coma.
Impressione numero 1. Nudi e semplici i ragazzi come nudo il teatro, senza quinte, fondali. Sembra la stanza di un adolescente con i poster appesi o una facciata di un palazzo con le finestre illuminate dalle luci accese.
Impressione numero 2. Dov’è Pinocchio in questo scenario? Non c’è fiaba! Pinocchio è quel qualcosa che abbandona il vecchio per ritrovare una nuova vita, relegando quella precedente a un grande paese dei balocchi inconsapevole. Passare da legno a carne, diventare più veri di prima, ma per farlo si è dovuto attraversare una zucca svuotata, modello Halloween, che qualche segno, alla fine, lo lascia.
Impressione numero 3. Bello non dover essere belli. Bello non dover essere bravi, non dover dire le cose giuste. Bello poter essere teatralmente sporchi, tossire, grattarsi una gamba, il naso. Bello non dover giudicare la tecnica o la pulizia o l’esattezza. Una spontaneità guidata, frutto di un rapporto umano tra regista e attori, in cui i binari lasciano spazio all’immediatezza e anche un po’ alla sfacciataggine.
Impressione numero 4. Estremamente contagiosa la voglia di cantare le musiche di scena. Lo fanno gli attori, in versione labiale, perché ti prende proprio. Lo fa la ragazza dietro di me. Canticchio anche io, non resisto.
Impressione numero 5. Volare liberi e ricadere nel vuoto.
Impressione numero 6. Sentirsi come un camioncino trascinato dal sipario che si chiude.
Impressione numero 7. Non ho pianto, ma riso molto sì.

Il post spettacolo è durato solo 15 minuti.
Nelle parole che sono state dette, ho trovato le risposte ai miei quesiti che non voglio far uscire in pubblico. In quelle parole ho trovato conferme della funzione terapeutica e riabilitatrice di corpo e spirito che ha il teatro. Ho scoperto che a Bologna esiste un luogo di essere umani che si prendono cura delle persone nella fase traumatica del risveglio e anche dello loro famiglie, permettendo loro di restare insieme. Il teatro riporta tutti dentro quella società che invece li aveva esclusi. Lo voglio vedere come un altro livello di lettura della seconda vita di un Pinocchio che dopo aver svolazzato nel limbo, atterra su un palco.

Anna Caramia (http://inpuntadipiedini.blogspot.it/2012/12/give-me-second-life.html)

 

Articolo di Francesca Berardi, apparso nel portale di critica teatrale MyWord.it

In Pinocchio i personaggi sono persone che portano in scena se stessi ed il proprio vissuto, segnato da uno strappo, il coma, da ricucire con difficoltà e da accettare per poter ricostruire i pezzi della propria esistenza. Nella semplicità di un palco vuoto, liberato da quinte, scenografie ed elementi di finzione, Paolo Facchini, Luigi Ferrarini e Riccardo Sielli accettano la sfida di mettersi a nudo, incontrare un pubblico di estranei e una società che spesso non si accorge di loro, e ricostruire il proprio passato alla ricerca di un futuro che sarà inevitabilmente diverso attraverso un racconto/intervista condotto sapientemente e con ironia dalla voce fuoricampo di Enrico Castellani: un grillo parlante che offre nuove vedute, la voce della coscienza che scava dentro i ricordi, un conduttore televisivo che detta le regole del gioco, un amico che permette anche le confidenze più intime, un regista che guida i propri attori. Sullo sfondo, Pinocchio (Luca Scotton) – o meglio la sua immagine deformata, evocata da un uomo corpulento con in testa un cappello a punta – funge da pretesto per il racconto, suggerisce metafore, apre a significati universali ed è fisicamente di servizio e assistenza agli attori. E così, il micro-cosmo degli attori si apre verso altri mondi possibili, diventando il mondo di ciascuno di noi e allo stesso tempo il mondo immaginario ma concreto di Pinocchio.

Il paese dei balocchi diventa un luogo in cui si cambia, ci si trasforma, si entra in conflitto tra il bene ed il male, tra chi si è e chi si vorrebbe essere, in cui si cade piangendo a terra con le orecchie da asino e poi ci si rialza di nuovo. La fata Turchina diventa una speranza, una donna, il desiderio di una vita futura, colei in grado di migliorare l’esistenza di ogni uomo. Bastano poche pennellate, movimenti stilizzati a far prendere forma in scena le immagini dell’infanzia legate alla fiaba che si intrecciano ai frammenti di vita dei personaggi e di ciascuno di noi. Così una sedia diventa una moto destinata a cadere a terra, un verso prodotto con le labbra diventa il rumore di un trattore in una giornata di lavoro come tante, un giocattolo si fa immagine di qualcosa di prezioso, di semplice ma importante, legato all’infanzia, al passato e, forse ad un futuro.

foto di Marco Caselli Nirmal

Le immagini sono straordinariamente efficaci nella propria essenzialità ed il linguaggio è quello frammentato della realtà che ci circonda: domande “botta e risposta”, urla, risate, lacrime, canzoni che tutti conosciamo e che probabilmente hanno fatto da colonna sonora alle nostre vite, assumono per la prima volta significati nuovi (“improvvisamente non sono l’uomo che ero, c’è un’ombra sopra di me […] ora vorrei che fosse ieri” – Yesterday, The Beatles). Il tentativo di trovare una forma che sia teatrale ma allo stesso tempo autentica viene raggiunto dallo stesso Castellani e da Valeria Raimondi pesando intelligentemente realtà e linguaggio teatrale con la giusta dose di improvvisazione e libertà, mantenendo l’equilibrio perfetto tra comicità e acuta riflessione senza mai scendere nel pietismo. Il pubblico non può dunque non sentirsi toccato, scosso, guardato negli occhi da chi cerca e offre niente di più e niente di meno di un incontro. Che permette di capire o quantomeno di riflettere su cosa accade quando una persona esce dal coma. «Prima c’erano champagne, garçon e adesso niente più champagne, niente più garçon, solo Paolo Facchini, Facchini Paolo, Paolo Facchini, Facchini Paolo.» Alla fine di tutto resta un’identità da ricollocare, una vita da ricostruire, una persona da far nascere. E allora i fili si spezzano, muoiono le marionette e prende forma una vita nuova. Una rinascita. Un risveglio. Un nuovo inizio.

Al termine dello spettacolo Gilberto Santini, direttore artistico dell’AMAT (Associazione marchigiana attività teatrali), ha offerto al pubblico la possibilità di incontrare Enrico Castellani che ha parlato dell’incontro di Babilonia Teatri con l’associazione “Gli amici di Luca” di Bologna, specializzata nell’assistenza alle persone con esiti di coma. Nel corso dell’incontro si è dimostrato come il teatro possa rivelarsi un potente strumento di riabilitazione e di ripresa di contatto con la realtà.

 

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