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Fra consumo digitale e ritorno negli spazi. Uno sguardo alle ricerche sui pubblici dello spettacolo durante la pandemia

Fra consumo digitale e ritorno negli spazi. Uno sguardo alle ricerche sui pubblici dello spettacolo durante la pandemia

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Nel primo contributo del giovedì di NEOff avevamo illustrato alcune delle principali ricerche sul pubblico delle performing art negli spazi digitali. Queste si riferivano però ad un periodo pre-pandemia. A un mese di distanza ci è ora possibile ragionare su una serie di studi empirici che hanno avuto come oggetto proprio il pubblico dello spettacolo e della cultura durante il lockdown. Le ricerche che qui analizzeremo brevemente prendono in considerazione paesi differenti – come la Gran Bretagna, l’Australia, la Francia e l’Italia – diversi sia per caratteristiche del sistema culturale, sia per il modo in cui sono stati colpiti dalla pandemia. Si tratta anche di ricerche con focus e metodologie distinte, la cui comparazione va quindi effettuata con prudenza. Esse condividono però l’obiettivo di sviluppare conoscenze utili alla ripartenza negli spazi fisici dello spettacolo e, allo stesso tempo, alla progettazione di soluzioni digitali che siano “here to stay”.

Una delle prime indagini sulla condizione del settore delle arti performative a seguito dell’emergenza COVID-19 è stato Performing Arts in Times of the Pandemic. Il report, pubblicato il 28 marzo 2020, è stato curato dallo IETM – International network for contemporary performing arts, network che unisce più di 500 associazioni e artisti del settore del teatro, della danza e della performance. All’interno vi si trova una prima fotografia degli impatti subiti e delle risposte intraprese dagli associati. È un documento che registra quel clima di profonda incertezza e stasi che ha caratterizzato la prima fase della risposta all’emergenza in Europa. La maggior parte dei membri del network dichiarano infatti di non aver ancora intrapreso alcuna misura speciale per recuperare la propria attività professionale. Le principali iniziative si rivolgono ai policy maker prima che al pubblico e riguardano la ricerca di sostegno economico e legale. Emerge inoltre anche un certo sentimento di imbarazzo da parte di alcuni operatori, che si sentono in difficoltà a chiedere fondi in un momento di crisi così profonda e generalizzata.

Fra aprile e maggio, con la stabilizzazione della crisi, iniziano ad essere condotti studi da enti istituzionali e aziende private di consulenza che analizzano sia la propensione futura al ritorno nei luoghi della cultura, sia i consumi digitali avvenuti durante il lockdown.

After the Interval: National Audience Survey è una ricerca svolta fra aprile e l’inizio di maggio dall’agenzia di consulting Indigo sul pubblico dello spettacolo dal vivo in Gran Bretagna e in Irlanda. Lo studio si è svolto con la collaborazione di 192 organizzazioni teatrali e centri artistici che hanno somministrato i questionari via web al proprio pubblico, raccogliendo più di 86.000 risposte.

Il 93% dei rispondenti esprime la mancanza degli eventi dal vivo. Ciò che provoca maggiore nostalgia è “il fermento legato all’evento” (74% del pubblico), “la possibilità di vedere i performer che si apprezzano in carne ed ossa” (67%) e “il senso di attesa per qualcosa di speciale” (66%), più che “l’essere assieme ad un pubblico di persone affini” (31%). Interessante, inoltre, come per più della metà del pubblico a mancare è anche “la possibilità di sostenere i centri locali della cultura” (55%). Per quanto riguarda il possibile rientro gli spettatori di Irlanda e UK si mostrano molto titubanti: solo il 17% ha prenotato eventi futuri, la metà dei quali si svolge dopo novembre e solo il 19% si sente sicuro di tornare nei luoghi dello spettacolo appena riapriranno; quasi la metà non pensa che parteciperà di nuovo ad un evento dal vivo prima di quattro mesi.

Nonostante la distanza geografica dell’Australia e il diverso impatto che la pandemia ha avuto sul paese, la ricerca sui pubblici australiani COVID-19 Audience Outlook Monitor contiene notevoli spunti di riflessione, soprattutto per quanto riguarda il ruolo del consumo digitale della cultura. Lo studio, realizzato con il supporto dell’Australia Council for the Arts, ha coinvolto 159 organizzazione artistiche e culturali e 23.000 partecipanti.

Similmente a quanto osservato nel caso britannico, la maggior parte delle persone (85%) ha in programma di tornare a fruire dello spettacolo e della cultura in misura uguale o addirittura superiore rispetto a quanto facesse prima della pandemia. Tuttavia, solo il 22% pensa di ritornare in teatri, musei e gallerie appena sarà possibile, preferendo invece un approccio prudente basato in primo luogo sulla valutazione delle caratteristiche degli spazi (come riportato nello studio, la sicurezza percepita in luoghi con più di 1000 posti è simile a quella di un volo nazionale di una compagnia low-cost).

La parte più interessante del report riguarda però l’indagine delle attività culturali effettuate a casa durante il lockdown. Tre quarti del pubblico ha svolto questo tipo di attività, in particolare “guardare video con contenuti artistici o culturali” (52%), “partecipare a eventi trasmessi dal vivo” (42%) e “prendere parte a laboratori e tutorial online” (36%). A dispetto di quanto si sia portati a credere, si tratta di un tipo di partecipazione trasversale fra le età: gli over 75, ad esempio, hanno fruito di visite virtuali a musei e gallerie in misura superiore del pubblico con meno di 35 anni. Per più di un quarto dei rispondenti (28%), inoltre, questa è stata l’occasione di scoprire artisti o lavori che non conoscevano. Se solo un terzo ha pagato per esperienze artistiche o culturali online in questi mesi, due terzi si dicono disposti a farlo in futuro.

Importante, infine, il dato sull’impatto di tali esperienze: per il 34% del pubblico la partecipazione culturale online è stato un modo di sostenere il proprio benessere durante la pandemia, percentuale che sale al 42% fra i disoccupati. Alcuni intervistati riportano come abbia costituito un’occasione per discutere in maniera inedita dei lavori visti e come sia servito in alcuni casi a far rivivere specifici interessi culturali sopiti. Fra i più citati fattori deterrenti troviamo invece l’affaticamento da schermo, per cui dopo aver passato molte ore di lavoro davanti a un monitor si cerca di fruire dell’arte e dell’intrattenimento su supporti differenti.

Figura 1 – Estratto dalla ricerca COVID-19 Audience Outlook Monitor. Dichiarazione di un intervistato che racconta come la fruizione delle attività online gli abbia permesso di aggirare il problema dell’ansia sociale per colpa della quale non riesce a frequentare eventi dal vivo

La ripresa delle attività artistiche e d’intrattenimento dei pubblici francesi è invece al centro dello studio Les Français & la reprise des activités de divertissement realizzato da Weezevent. La ricerca ha interpellato 1017 persone fra il 18 e il 20 maggio, alla soglia quindi dell’allentamento del lockdown in Francia.

La totalità dei rispondenti vuole tornare a seguire le attività legate all’intrattenimento dal vivo e l’85% dichiara che manterrà o aumenterà il budget destinato a tali attività. Benché la maggior parte si dimostra preoccupata di tornare nei luoghi deputati al divertimento e alla cultura, la percentuale di chi vi tornerà già dalle prime settimane è del 67%, superiore quindi a quella registrata dallo studio britannico e da quello australiano (complice, sicuramente, anche il fatto che la ricerca è stata svolta in una fase successiva della pandemia).

Inoltre, sebbene la maggioranza preferisca ricevere un rimborso per gli eventi cancellati, troviamo come vi sia una buona fetta di pubblico (43%) pronta ad accettare misure alternative, come le riprogrammazioni (28%), i crediti per acquisti successivi (10%) o le donazioni del prezzo del biglietto all’organizzazione (10%).

Interessante notare come la propensione a pagare per la versione digitale di un evento sia più bassa proprio per quegli eventi che comportano attualmente un rischio maggiore di contagio e ai quali quindi si ritornerà più tardi: tra i rispondenti il 30% sarebbe infatti disposto a pagare per seguire conferenze online, 20% per concerti, 18% per musei e il 13% per i festival.

Figura 2 – Estratto dalla ricerca di Weezevent sul pubblico francese. “L’81% dei rispondenti pensa che il pubblico con il tempo tornerà come prima”

Venendo infine al pubblico italiano è fondamentale dare uno sguardo a due delle ricerche presentate la scorsa settimana all’evento ArtLab 2020 nel panel pomeridiano di giovedì 10 giugno dedicato alla dieta culturale degli italiani durante il lockdown.

Dal monitoraggio sui titolari dell’Abbonamento Musei di Piemonte, Lombardia e Valle d’Aosta, dall’Osservatorio Culturale del Piemonte, emerge come tutti i musei convenzionati abbiano svolto qualche tipo di attività online, la maggior parte delle quali è consistita nel condividere contenuti digitali gratuiti. Gli utenti dell’abbonamento che hanno risposto (3.600, in maggioranza donne fra i 45 e i 65 anni) si dimostrano informati sulle iniziative digitali intraprese (solo il 10% non ne è a conoscenza), con una percentuale più bassa di informati fra i giovani (25%), dato che risuona con quanto trovato dalla ricerca australiana. Poco più della metà (56%) ne ha usufruito effettivamente, ma nel complesso si registra una maggiore propensione a continuare a fruirne in futuro (80% in generale, 84% fra gli over 65). Rispetto alla propensione all’acquisto dei servizi digitali, il 72% degli intervistati sarebbe disponibile a fruire di video-racconti delle collezioni, a un prezzo massimo medio di 3,02 euro, mentre il 61% seguirebbe online tour virtuali guidati, a un prezzo massimo medio di 3,67 euro. Inoltre, sia il questionario, sia i primi dati effettivi sulle visite, dimostrano una preferenza per visite e mostre in castelli e spazi aperti: gli acquisti online per questa tipologia sono infatti passati a rappresentare dal 20% al 47% del comparto.

La ricerca Caro spettatore, come stai?, promossa da un gruppo di operatori del settore culturale e delle arti dal vivo, ha invece cercato di raccogliere il comportamento dei pubblici italiani dello spettacolo durante il lockdown. L’indagine ha coinvolto 5.887 partecipanti, distribuiti principalmente nelle regioni settentrionali, con un’età prevalente fra i 36 e i 59 anni, la maggior parte dei quali sono consumatori molto attivi di cultura (15,3% lavorano nell’arte o nella cultura, mentre solo il 10,7% non si ritiene un appassionato). Dai risultati emerge come la fruizione culturale online non si è concentrata solo su film, serie tv e documentari (23,3%), ma anche su spettacoli (19,7%), concerti (13,0%), incontri di formazione (10,9%), attività per bambini (7%) e performance appositamente create per il digitale (5,8%). La valutazione di queste esperienze risulta prevalentemente positiva (80%), anche se la maggior parte (74,7%) preferirebbe il consumo dal vivo. La maggioranza (76,5%) si dice disposta a pagare per eventi digitali anche dopo la riapertura degli spazi fisici, ma meno di un terzo è disposto a sostenere un costo uguale a quello dell’evento dal vivo. A mancare maggiormente dell’esperienza dal vivo è l’esperienza in presenza della performance (69,5%), più che l’incontro con gli altri spettatori (18,5%), dato simile a quanto riscontrato dalla ricerca britannica. Tra i fattori che possono incoraggiare il tornare a vivere i luoghi della cultura troviamo lo svolgersi all’aperto degli eventi, le sedute distanziate e l’obbligo di prenotazione, mentre risultano fattori scoraggianti le lunghe attese e l’impossibilità di stare vicino alle persone con cui si è scelto di partecipare.

Figura 3 – Caro spettatore, come stai? Banner dell’iniziativa

In conclusione a questa rassegna delle ricerche svolte sui settori culturali e dello spettacolo durante la pandemia possiamo notare innanzitutto l’influenza cruciale del periodo in cui le ricerche sono state svolte. Se quelle effettuate fra aprile e inizio maggio raccontano una forte incertezza verso il tornare appena possibile negli spazi fisici della cultura, quelle effettuate a circa un mese di distanza sembrano descrivere un atteggiamento ben più ottimista. In secondo luogo va notato come i contenuti culturali digitali sembrano aver svolto un ruolo importante nel mantenere attivo il contatto con il pubblico e nel sostenere il suo benessere durante la crisi. Di particolare interesse la propensione a continuare e fruirne anche dopo il lockdown e l’apertura verso questo tipo di contenuti registrata fra le fasce di età più elevate. Emerge altresì il problema della gratuità, del fatto cioè che parliamo di iniziative per cui solo una minoranza è disposta a pagare un prezzo comparabile con quello della fruizione nello spazio fisico. Fondamentale sarà mantenere viva l’attenzione su questa tematica, affinché la “tentazione del free” nel mantenere in vita il rapporto con il pubblico non diventi un ulteriore fattore di svalutazione del lavoro artistico e culturale.

Stefano Brilli e Francesca Giuliani – Redazione NEOff

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