Civitanova Danza 2017: intervista a Nicola Galli
In occasione della XXIV edizione di Civitanova Danza abbiamo chiesto ai protagonisti del festival di svelarci alcune curiosità sugli spettacoli che presentano a Civitanova Marche. Attraverso piccole e brevi interviste ci suggeriscono che cosa dobbiamo aspettarci e ci stimolano ad aprire il nostro sguardo.
Pubblichiamo l’intervista rivolta a Nicola Galli coreografo di De Rerum Natura interpretato dallo Junior Balletto di Toscana in scena sabato 15 luglio alle ore 23.15 al Teatro Annibal Caro.
Nicola Galli nello spettacolo – che debutta in prima assoluta al termine di una residenza di allestimento – si confronta con il poeta e filosofo Lucrezio e la sua celebre opera che con delicata poesia svela contenuti anticipatori della scienza moderna, la realtà del cosmo e l’uomo. L’immagine di eterno movimento alimenta nella creazione coreografica il desiderio di muoversi di sei corpi in un rapporto di correlazione e interdipendenza.
Intervista a Nicola Galli coreografo di
DE RERUM NATURA
[sabato 15 luglio alle ore 23.15 al Teatro Annibal Caro di Civitanova Marche]
Descrivici l’incontro tra Il De Rerum Natura, un’opera così vasta e complessa sull’origine del cosmo e dell’uomo, e il tuo percorso di ricerca coreografico: tre elementi che senti di aver acquisito.
Quello con Lucrezio è stato un incontro del tutto inaspettato. De Rerum Natura è sempre stata una di quelle letture che suscitavano in me grande curiosità, soprattutto per la sua complessità. Proprio mentre lavoravo all’ultimo progetto Mars, questa lettura ha fatto sfociare in me una vera e propria devozione.
È la prima volta che mi confronto a livello coreografico con un testo scritto, non è mai accaduto nel corso della mia ricerca artistica di trovare un’ispirazione che provenisse da un testo, da un altro autore o da un coreografo: la mia curiosità è legata a temi come l’astronomia, la matematica, la fisica, ovvero questioni che riguardano la sfera del “naturale”. A suo modo, De Rerum Natura racchiude queste mie passioni così primordiali e lo fa attraverso uno sguardo estremamente lucido di un autore così lontano. Uno degli elementi che sento di aver acquisito è senz’altro aver ritrovato il senso di meraviglia per la semplicità: Lucrezio riesce a raccontare e a rendere visibile la vastità e la complessità dell’universo di argomenti, che sono alla base di questo testo, in modo molto semplice. La parola meraviglia è un’espressione che ricorre costantemente nel libro.
Il secondo elemento è il senso di compenetrazione: gli elementi del cosmo vivono legati in una relazione di interdipendenza; si tratta di una relazione che si inserisce perfettamente nell’aspetto coreografico, in cui gli elementi corporei, spaziali, temporali, musicali e luminosi, tutti fondamentali, paritari e compenetrabili all’interno della mia ricerca, avvalorano ancora di più questa verità.
Perché vedere il De Rerum Natura?
Io aggiungerei “perché leggere” De Rerum Natura: un testo così antico racconta il mondo attraverso un’apertura dello sguardo, anticipando alcuni elementi della scienza moderna. Ci viene mostrata una visione delle cose che si avvicina molto a quello che noi conosciamo oggi del mondo. Un dettaglio per me importante per guardare questa creazione è ricercare sulla scena quell’idea di ciclica rigenerazione che torna a più riprese nel testo di Lucrezio; l’idea della continua evoluzione dei corpi immersi in un ciclo vitale che passa dalla nascita, procede in una fioritura, fino a decadere.
Che cosa significa costruire una coreografia per sei danzatori? Qual è stato il lavoro di tessitura drammaturgica che hai costruito su di loro?
Coreografare un enseble, un assolo, un duetto o un trio comporta differenti complessità. Lavorare con più danzatori attiva in me un pensiero di costruzione coreografica molto più esteso e diffuso, meno concentrato sul singolo corpo al punto da costringere la mia attitudine al controllo, alla cesellatura, a mutare in un nuovo sguardo di maggiore complessità corale e ricchezza.
Il processo coreografico è stato decisamente diverso dal solito: le mie coreografie si inseriscono sempre in una dimensione di nettezza e precisione legata ai materiali che una volta creati vengono fissati. Questa è la prima volta che mi confronto con un’idea diversa di coreografia proprio per avvicinarmi al processo di generazione che Lucrezio descrive.
C’è una grande presenza di improvvisazione: i movimenti dei danzatori sono iscritti in una drammaturgia che dona a essi una linea di direzione da percorrere entro la quale hanno la possibilità di ricercare una relazione, trasformando costantemente i gesti. Questa idea di lasciarsi attraversare dagli elementi per trasformarli e restituirli mutati è il principio base dello spettacolo e rappresenta per me un esercizio tutto nuovo, che rende la mia figura meno autoritaria sul gruppo e crea un bilanciamento sulla responsabilità e sulla sensibilità dei corpi.
È la prima volta che ti confronti con una compagnia di balletto in cui tu sei il coreografo e non l’interprete. Quale è stato lo scambio, cosa hai trasmesso loro e cosa loro hanno trasmesso a te?
È la prima volta che mi confronto con una compagnia di balletto ed è la prima volta che mi trovo ad essere solo coreografo. Non essendomi formato in un’accademia ma essendo cresciuto all’interno di un percorso eterogeneo fatto di diverse discipline, di pura espressività ed esplorazione personale, lavorare con una compagnia di balletto ha significato accostarsi a una modalità di lavoro nuova.
Ho trasformato la mia prassi, adattandola ai ritmi “scolastici” tipici della dimensione di un grande gruppo e alle tempistiche, per me del tutto nuove, degli insegnanti. È stato un esercizio che mi ha arricchito molto. Penso di aver trasmesso alla compagnia, allo stesso modo, una modalità differente di lavorare, proponendo l’inserimento, all’interno della coreografia, degli elementi presi in prestito da diverse discipline, non necessariamente legate alla danza ma piuttosto al corpo e all’anatomia; inoltre ho suggerito loro una scrittura scenica in cui il corpo umano è uno dei tanti elementi che abita la scena e non l’unico, come viene da sempre inteso dalla tradizione.
Consigli al pubblico: prima della visione
Agli spettatori che siederanno in platea e non sanno cosa aspettarsi consiglio di abbandonarsi al senso di meraviglia per cogliere nella scrittura coreografica i dettagli e le sfumature; attivare un doppio sguardo: uno molto ampio e inclusivo della scena, teso a cogliere i colori, i corpi umani, sonori, luminosi e tutto ciò che abita il palco; e uno dettagliato, quasi microscopico, per cogliere la ricchezza e i particolari degli elementi.
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