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Fabrizio Favale ci racconta il suo “Lute”

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Un codice per comunicare, un corpo per danzare e un linguaggio misterioso per lasciarsi affascinare: Lute. Arrivo delle scintille e dei bagliori in ogni cosa è il nuovo lavoro di Fabrizio Favale della compagnia Le Supplici presentato in prova aperta al Teatro Annibal Caro di Civitanova Marche il 6 dicembre 2019 al termine di una residenza artistica. Uno splendido viaggio, con i bravissimi danzatori Daniele Bianco e Vincenzo Cappuccio, che ha ammaliato e proiettato verso mondi lontani il pubblico che ha partecipato complimentandosi al termine della visione di Lute direttamente con la compagnia tutta. Il mistero della danza, la poesia del corpo e la condivisione di codici tra artisti e spettatori possono trasportarci verso una bellezza fino a quel momento ancora sconosciuta.

A dicembre 2019, nell’ambito di “Civitanova casa della Danza”, progetto di residenza ideato e realizzato da AMAT, finanziato da MiBACT e Regione Marche, si è tenuta la residenza artistica del coreografo Fabrizio Favale e la sua compagnia Le Supplici presso Foresteria Imperatrice Eugenia & Teatro Annibal Caro del Comune di Civitanova Marche.
Lute. Arrivo delle scintille e dei bagliori in ogni cosa è stato proposto nell’ambito del progetto ALASKA, residenza di KLm [Kinkaleri / Le Supplici / mk]. Alaska è una zona dell’invenzione, un mondo sconosciuto dove si cercano relazioni tra l’esistente e il non esistente.

Durante la residenza abbiamo intervistato il coreografo per farci raccontare il progetto.

Lute è lo scintillare della brace in un antico dialetto italico. Quell’enigmatico scintillare che tanto ipnotizza in geometrie evanescenti. Come se fosse la pulsazione di un codice tanto alieno quanto universale. Come i linguaggi che non comprendiamo ma che ci catturano come in sogno: lo straniero, tutti gli animali, le piante, i minerali. Che ci lascia interdetti e innamorati come se fosse il dire di tutte le cose. È davanti a quelle braci che l’uomo ha iniziato a raccontare storie fantastiche. Quasi che quel luccicare sia la dimora stessa e l’origine del sogno ad occhi aperti, dell’invenzione.
Questo lavoro si spinge in una direzione visiva alterata e sognante. Immerse in uno spazio vuoto e colorato da speciali effetti luce/video, due figure appaiono come esseri non ben identificabili che danzano e costruiscono strani oggetti. L’incertezza permane per tutto il tempo delle loro misteriose azioni: sono creature del sogno o sono animali che sognano? Sono due alieni caduti dal cielo in esplorazione o sono esploratori in Antartico che preparano un campo base? Sono antichi etruschi in festa o sono sguardi di uomini intenti a captare segnali dal cielo? Eppure qualcosa nella loro stessa natura è alterato, come a rivelare mutazioni artificiali: sono interamente umani, ma vestono tute aderenti e trascinano sulle spalle una flora essiccata e misteriosamente colorata da bagni chimici o incroci genetici. La loro perpetua e incessante azione lascia intuire una misteriosa attività da api. Qualcosa di esatto, quasi meccanico, traspare nelle loro azioni nel disegnare traiettorie e geometrie spaziali. Danzano in un linguaggio inventato, poliglotta, che attraversa i codici e in definitiva non ne sceglie nessuno. Quasi volesse lanciare nell’etere un messaggio comprensibile a tutti gli animali. O decriptare qualcosa nelle infinite possibilità del dire. Questo lavoro porta lo spettatore nella meditazione di un luogo che non è né qui né là, che arriva nella modalità spettrale con cui arriva la luce di stelle ormai estinte. Inaugura una strada che mescola materiali organici e inorganici, giocando con la morfologia dei danzatori che rilasciano bagliori e scintille. Questo forse è solo il disegno di un piccolo e insensato arabesco. Un enigma che vorremmo dedicare alla memoria di Alan Turing. Fabrizio Favale

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