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Transparent Boundaries: laboratorio “Electric Elder” con Alessandro Sciarroni

Transparent Boundaries: laboratorio “Electric Elder” con Alessandro Sciarroni

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Esistono numerosissimi bandi e occasioni laboratoriali per gli under 35: la nostra società cerca di rivolgersi sempre più ai giovani, di coinvolgerli, di dar loro delle occasioni di espressione, di lavoro, di partecipazione. Allo stesso tempo, però, altri capisaldi della nostra collettività, come gli over 60, vengono messi da parte e rimangono in un limbo, fermi ad aspettare e capire quale sia il loro ruolo all’interno della comunità.

Muove da quest’ultima considerazione Electric Elder, un laboratorio condotto dal coreografo e performer Alessandro Sciarroni e dedicato alla terza età. Per una settimana – dal 7 al 15 aprile – 12 persone, tra i 58 e i 75 anni, si sono incontrate ogni giorno al Teatro Persiani di Recanati per confrontarsi e dialogare su questo tema, interessante ma anche molto scomodo e poco dibattuto. Electric Elder rientra in xsianixnoi 12/13 e nel progetto europeo Transparent Boundaries (letteralmente ‘confini trasparenti’) realizzato con il supporto del Programma Cultura dell’Unione Europea che esplora la visibilità degli anziani nell’Europa contemporanea attraverso l’attivazione di ‘dialoghi creativi’ curati da diversi partner: The University of the Creative Arts per la Gran Bretagna, capofila del progetto, insieme ad AMAT per l’Italia, Aalborg University per la Danimarca e Hellenic Regional Development Center per la Grecia.
Per conoscere questi ‘confini trasparenti’ i vari partner si sono attivati in diverso modo, ognuno seguendo un proprio percorso. L’Amat ha deciso di partire dalla ricchezza del patrimonio culturale e teatrale della regione, chiedendo proprio al marchigiano Alessandro Sciarroni, uno dei più interessanti registi del panorama internazionale, di realizzare un laboratorio pensato per coloro che vivono la terza età.

Atmosfera e presentazioni
E allora che cosa significa avere 60 anni? E 70 e 80? Una domanda che non ha risposte semplici e a cui si legano, sulla scia dello stesso tema, altri infiniti quesiti, alimentati giorno dopo giorno all’interno di Electric Elder dai 12 partecipanti. Alessandro Sciarroni, dopo essersi presentato, introduce ai suoi allievi la figura di un’artista controversa: Marina Abramovic. Nel suo The artist is present, che ha avuto luogo al Moma di New York nel 2010, la performer serba è rimasta seduta immobile per sei giorni alla settimana, dall’apertura alla chiusura delle porte del museo, ospitando uno alla volta gli spettatori nella sedia postale di fronte; tutto questo per tre mesi. Due i fattori fondamentali di questa performance: la potenza dell’incontro tra persone e la difficoltà di fare qualcosa che si avvicini al niente in scena. Sciarroni parte proprio da queste due caratteristiche per impostare il laboratorio: il suo tentativo è infatti teso ad asciugare, tagliare, ridurre tutto quello che risulta artificioso, inutile.
Electric Elder non ha niente a che fare con la finzione: l’accento è posto sulla persona. Al centro è l’essere umano con i suoi difetti, i suoi pregi, la sua verità: indagato in quanto persona reale. Sul tavolo la propria biografia, la propria esperienza. Non ci sono attori, ma persone. L’atmosfera è vivace, allegra, rilassata, contraddistinta da battute, punzecchiature, freddure. Si ride e si ride tantissimo: dopo tutto gli attori, come sottolineano gli stessi partecipanti, non fanno altro che prendersi i meriti, mentre se qualcosa va storto, la colpa è sicuramente del regista!
Il coreografo-regista chiede ai suoi sottoposti di presentarsi, dare piccole indicazioni di sé, raccontarsi in poche parole: nome, età e qualche caratteristica. Emergono le loro nature, passioni e professioni, ma anche gli affetti presenti o passati.
Alcuni rivelano la propria età in maniera criptica, costringendo chi li ascolta a fare i conti tra date, primavere e segni zodiacali. Dopo tutto il compito è anche quello di non rivelare troppo, calibrando gli elementi, approssimando, asciugando.
Sciarroni suggerisce loro di neutralizzare la cadenza, prendere respiro tra un concetto e l’altro, lasciare al pubblico del tempo per pensare. Ecco allora Marisa, classe 1947, che dopo la pensione si è dovuta reinventare la propria vita con viaggi, corsi di inglese e pittura; Patrizia ha 61 anni, anche lei è pensionata ma non come si sarebbe immaginata quando aveva 30 anni, senza nipoti a cui leggere le favole; Annamaria non vuole rivelare la sua età e si dedica ancora al lavoro che in fondo le ha riempito la vita più che l’amore; Mariella, anni 63, ammette fiera in inglese “my pride is just my daughter”; l’amante di musica e ballo, Mauro, professore di inglese arrivato a un’età che è multiplo di 8; Fiorella, laureata in lingue ma casalinga per scelta, anni 59; il timido – ma poi rivelatosi tutt’altro! – Giuseppe che di anni ne ha 58 e che è da 3 mesi in pensione; Paolo, altro under 60 del gruppo, con due figli e un cane e che è “incazzato” – come afferma lui stesso – con questo governo ladro che gli ha scippato 40 anni di lavoro; la professoressa in pensione Simonetta, anni 62, che non capisce con quale sguardo la vedano i suoi due figli, che vivono all’estero e si preoccupano per lei; a Paola, di anni 59, non piace raccontarsi; il 62enne Roberto, eletto capoclasse del gruppo, è un lavoratore ancora attivo, che però si dimentica le cose, e a cui piace fare il nonno; la 69enne Ivana è di poche ma puntuali parole, soffre la condizione di invisibile in cui sente di essere piombata per colpa dell’età, ma si rivela una persona a cui piace ridere e stare in compagnia.

Chi è l’anziano?
Il laboratorio di Sciarroni è impostato sin dall’inizio su domande e discussioni che indagano argomenti che, in fondo, risultano essere tabù nella nostra società. Le conversazioni mettono in risalto i punti di vista di ciascuno, sollevano problematiche e alimentano il confronto soprattutto su ciò che li mette in difficoltà. «Perché dobbiamo parlare dell’anziano se noi non siamo anziani?» domanda cardine, su cui molto spesso si torna; una specie di disagio comune riferito innanzitutto alla parola stessa e allo statuto di “essere anziani” oggi. Non sono loro gli anziani, ma gli altri, coloro che stanno in ospizio, che vengono guardati dalle badanti, che non sono autosufficienti. E infatti, alla domanda di Sciarroni «quali sono le caratteristiche dell’anziano?», il risultato è una lista infinita di negatività: vive nel passato e non ha progetti per il futuro, non è più curioso del mondo che lo circonda, rifiuta tutto ciò che è nuovo, si lascia andare, non ci vede più, si ingrassa, ha la vescica debole, la memoria labile, ripete azioni e frasi, ha mancanza di volontà, si lamenta, è invisibile, ha un’espressione spenta, non ha una vita autonoma… Emerge in maniera dirompente come il rifiuto dello statuto di “anziano” sia antropologico, dettato dalla società in cui viviamo. Non percepiamo più l’anziano come aristocratico o saggio perché dotato di esperienza: «l’anzianità non è dettata dalla anagrafe, ma è un atteggiamento» secondo i partecipanti.

Incontri skype con partner europei
Si parla di terza età utilizzando i mezzi che solitamente sono propri delle più giovani età: ci si collega con la Grecia e la Gran Bretagna via skype, dando vita a teleconferenze che mettono in dialogo over 60enni appartenenti a culture diverse.
Dall’Inghilterra due 80enni: Bob White, che di fare l’artista non ha mai smesso, e la neolaureata Dee Brien, che dopo anni e anni di peregrinazioni per il mondo ora vive in un piccolo paesino sul mare. Italiani e inglesi si vedono e si osservano attraverso una webcam, fanno ciao con la mano e sfoggiano allegri sorrisi. C’è una profonda tenerezza nelle loro voci che, tremanti e delicate, affrontano grandi temi, che riguardano indifferentemente tutti: riguardano l’essere umano.
Bob e Dee affermano che l’anzianità oggi è diversa: una volta giovani e anziani si distinguevano negli abiti, c’era, in questi ultimi, una certa eleganza nel portamento; oggi, questa differenza si è persa e il confine tra uno status e l’altro è più ‘trasparente’ che opaco. Arriva dall’Inghilterra la domanda che mette gli italiani con le spalle al muro: «Quale è il vostro valore nella società italiana?». Una domanda spinosa da cui emerge, in tutte le sue contraddizioni sociali, una risposta qui condivisa che ridà dignità alla terza età: oggi, in Italia, gli anziani sono delle risorse, dei punti di riferimento per i giovani che non trovano lavoro, che sono costretti ad appoggiarsi ai genitori e a confidare nell’aiuto di coloro che sono arrivati al traguardo della terza età. Se da una parte l’anziano viene emarginato dalla società, dall’altra è fondamentale per l’esistenza stessa della comunità.

Nel collegamento con la Grecia, con un signore in giacca e cravatta e un sorriso dolce, George Georgiadis, si ripiomba nella negatività, si toccano di nuovo argomenti scomodi e dolorosi, come la disperazione che dilaga e che ha portato a più di 2500 suicidi di persone over45 negli ultimi due anni; nella culla d’Europa mancano le basi per sopravvivere e ciò che si va perdendo per queste persone anziane è la dignità. La domanda entra come un pugno nello stomaco e genera visi scuri a cui seguono silenzi, mettendo in luce un malessere reale e difficoltà sociali.

Performance e conclusioni
Sono questi incontri, confronti e dialoghi a entrare nella performance finale: in fondo la bellezza di questo laboratorio risiede nella necessità di litigare, ridere, scherzare, parlare e riflettere intorno alla questione dell’anzianità. Davanti al pubblico vengono mostrate queste dinamiche, dato che la sera del 15 aprile Sciarroni rivolge ai suoi allievi delle domande che non sono state decise assieme a tavolino, proprio per non perdere la freschezza, la spontaneità e soprattutto quella verità che è alla base del percorso fatto insieme. Se si fossero fissati gli argomenti di discussione la naturalezza sarebbe andata perduta e il dialogo sarebbe risultato ingessato. Qui non c’è finzione. Le conversazioni sono vere. Sono vere anche quando si gioca a ruba-bandiera, si decidono le penitenze, si fa il tifo per la propria squadra, si balla liberamente, si sospende il gioco divertente per la domanda posta dalla Grecia sui suicidi…

Sciarroni è arrivato al laboratorio senza un disegno di spettacolo precostituito, voleva che fosse l’incontro con i 12 a dettargli il percorso da affrontare. E così è stato. «In fondo – afferma Sciarroni parlando con i suoi allievi l’ultimo giorno – la cosa che mi è piaciuta di più di questa esperienza è che siete indisciplinati e che vi rimbeccate continuamente tra di voi, che parlate gli uni sugli altri, affrontate discussioni con il cuore, contribuite ad alimentare le interessanti domande sorte dai collegamenti skype». Anche per i partecipanti del workshop è stata una bella sfida ed esperienza, come hanno sottolineato loro stessi: hanno stretto amicizia, hanno preso coscienza dei valori e delle possibilità, hanno condiviso idee, si sono sentiti più giovani – rispetto a Sciarroni che sembrava il più anziano di tutti data l’enorme pazienza!
Concludono dicendo che «essere se stessi è consolante e che in fondo vivere la vita è l’avventura più bella: dopo tutto non è così negativo invecchiare!». Si continua a progettare, a fare. L’uomo, in ogni suo attraversamento, è in fondo una macchina desiderante.

Carlotta Tringali

 

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