TUTTOIN1GIORNO DANZA FESTIVAL
«Danzare deve avere un fondamento diverso dalla pura tecnica e dalla routine. La tecnica è importante, ma è solo un presupposto. Certe cose di possono dire con le parole, altre con i movimenti. Ma ci sono anche dei momenti in cui si resta senza parole, completamente perduti e disorientati, non si sa più che fare. A questo punto comincia la danza, e per motivi del tutto diversi della vanità. Si deve trovare un linguaggio – con parole, immagini, movimenti, atmosfere – che faccia intuire qualcosa che esiste in noi da sempre.»
Parlava così Pina Bausch quando si riferiva a quell’arte a cui ha dedicato tutta una vita. Regina indiscussa del Tanztheater tedesco, alla coreografa scomparsa nel 2009 è stato dedicato un omaggio venerdì 22 febbraio in occasione di TUTTOIN1GIORNO Danzafestival che ha avuto luogo al Teatro delle Muse di Ancona, promosso da Comune di Ancona, Inteatro, Amat e Fondazione Teatro delle Muse. Una giornata intensa che ha visto spettacoli, mostre, conferenze, classi di danza e momenti di discussione attorno all’arte coreutica e che ha attirato un gran numero di appassionati e curiosi.
Dopo la Masterclass della mattina tenuta da Eduardo Torroja, storico collaboratore del coreografo belga Wim Vandekeybus, nel pomeriggio al Ridotto del Teatro Liebe Pina ha attraversato il complesso mondo della Bausch con la proiezione di alcuni suoi spettacoli storici realizzati con il Tanztheater Wuppertal – da Café Müller a Le Sacre du Printemps per finire con Kontakthof – poi commentati dalla critica Leonetta Bentivoglio. Proprio quest’ultima, autrice di ben 3 monografie su Pina Bausch, ha portato il suo contributo personale e professionale parlando del mondo bauschiano che oscilla tra il visibile e il nascosto, tra l’esibito e l’immaginato, tra il tragico e il comico, sempre proteso a proiettare sulla scena la sostanza degli individui, quel linguaggio dell’essere che sfugge anche alla ragione.
La danza di Pina Bausch ha rotto ogni confine, ha sperimentato codici interlinguistici mettendo al centro l’essere umano e il corpo come erogatore di espressioni, di un mondo frammentario che ci appartiene; il mondo danzato della Bausch non dà risposte, ma spinge lo spettatore a porsi delle domande su cui riflettere. Come ci ha anche insegnato il regista Peter Brook «il teatro non deve rispondere. Ha solo una funzione: lasciarci nudi di fronte alle domande».
In occasione di TUTTOIN1GIORNO le immagini di alcune pièce storiche della Bausch non sono state consegnate agli spettatori solo dal video, ma anche dagli scatti fotografici di Ninni Romeo. Cara amica di Pina Bausch, la fotografa siciliana ha infatti seguito diverse produzioni del Tanztheater Wuppertal dalla fine degli anni Ottanta. La mostra di Ninni Romeo, inaugurata nello spazio espositivo del Musecaffé – in collaborazione con la Pinacoteca comunale di Ancona e che rimarrà aperta fino al 24 marzo 2013 –, ha riportato il pubblico a quell’immaginario bauschiano fatto di materia e corpi, di sogni e di “contatti”umani.
Dopo “l’incontro” con la danza della Bausch la serata ha visto nello spettacolo What the body does not remember il suo apice. Ma ad accompagnare l’evento, che ha richiamato un gran numero di persone provenienti da ogni parte della regione, sono stati dapprima Replay del gruppo marchigiano 7-8 chili – che indaga in maniera scherzosa e divertente la relazione tra corpo, gesto e immagine digitale, partendo da un assemblaggio di video presenti su youtube e facendoli entrare in cortocircuito con le tre performer – e in seguito Spic & Span late and light version di foscarini:nardin:dagostin – spettacolo che ha ricevuto la segnalazione speciale del premio Scenario 2011 e che è stato presentato in una versione speciale per il festival anconetano, ma sempre concentrandosi sulla bellezza e sul suo contrario, sulla vuotezza dell’immagine, sulla sua costruzione e distruzione.
Il ritmo ossessivo di percussioni di Thierry De Mey & Peter Vermeersch ci riporta a What the body does not remember del coreografo belga Wim Vandekeybus e della sua compagnia Ultima Vez: in un certo senso potremmo parlare di un ritorno alla storia della danza dato che questo spettacolo è stato creato in una residenza a Inteatro di Polverigi nel 1987 e ha girato il mondo vincendo il Bessie Award a New York per il «brutale confronto di danza e musica in uno scenario pericoloso e combattivo». È proprio questo lavoro che ha reso famoso Vandekeybus, ancora oggi impegnato con Ultima Vez a creare nuove coreografie. Un ritmo che spinge i corpi a muoversi, come fossero dotati di impulsi elettrici stimolati proprio dai battiti incessanti che tornano continuamente, dalle mani di una danzatrice che picchiano contro un tavolo amplificato, ai piedi che colpiscono violentemente il pavimento.
Graffiano, battono, saltano, corrono, giocano: i corpi degli strepitosi ballerini in scena non si fermano mai, emanano energia da ogni singolo muscolo, in una dinamica che prevede sempre un equilibrio precario. Spostano mattoni e ci camminano sopra costruendo una propria strada, controllando i propri passi; li lanciano e vi si aggrappano, li portano sulla testa e li fanno cadere, sempre dando la sensazione di rischiare ogni volta di essere centrati in pieno. C’è violenza e aggressività – come nel momento di perquisizione delle donne, in una sorta di violazione del proprio essere –, ironia e leggerezza – nello scambio di vestiti e nel riutilizzo dello stesso oggetto quotidiano in un modo sempre nuovo – e sempre una lotta energica tra i corpi che si confrontano in una comunicazione vera e dura, mai aggraziata. Il corpo è portato a reagire in un certo modo agli stimoli, senza ricordare perché lo fa; lo dice lo stesso titolo e ce lo mostra… what the body does not remember.
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