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La stagione 15.16 dei teatri di AMAT? La racconta Gilberto Santini

La stagione 15.16 dei teatri di AMAT? La racconta Gilberto Santini

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In questi giorni si stanno presentando e ultimando le programmazioni dei vari teatri marchigiani per la stagione 15/16. Quali sono le linee guida che AMAT segue nella costruzione di una stagione?
Lo sguardo fondamentale è rivolto all’identità del luogo in cui operiamo; credo infatti che i tempi confusi in cui viviamo ci chiedano una grande attenzione – quasi una tenerezza – nel far sì che le stagioni siano ‘porte aperte’ con elementi di chiara riconoscibilità per lo spettatore. La nostra proposta vuole offrire un’esperienza precisa, soprattutto positiva rispetto a ciò che uno spettatore può portarsi a casa. Oltre l’attenzione al singolo luogo ci impegniamo, a livello regionale, a proporre appuntamenti fondamentali col teatro italiano e internazionale, in modo che le singole individualità possano insieme comporre un affresco che abbia anche un senso sovra-cittadino. Certo, la domanda riguarda anche molto cosa il sistema produttivo ci offre: AMAT infatti per mandato ministeriale non può produrre spettacoli. Quel che vedo quest’anno, tra le varie produzioni, sono esperimenti curiosi, registi al di fuori di ogni sospetto confrontarsi con vaudeville o testi comici, una voglia di rompere le barriere con un dato percorso; direi quindi che la proposta riguarda una leggerezza più o meno pensosa, che assomiglia proprio a questi anni. Sicuramente quel che mai come adesso stiamo rifuggendo – oltre la cattiva qualità, naturalmente – è chi si ostina a non voler comunicare col pubblico; non importa cosa facciamo (può essere un piccolo spettacolo, penso alla Generazione Scenario, come a una grande produzione), l’importante è non mettere di fronte al pubblico qualcuno che non abbia voglia di dialogare con lui.

Gilberto Santini
Gilberto Santini

Quali sono le caratteristiche imprescindibili che uno spettacolo deve avere per essere scelto e inserito in una stagione di AMAT?
Intanto bisogna distinguere tra spettacoli che hanno già debuttato e spettacoli che devono ancora essere presentati pubblicamente; per quest’ultimi è più semplice, con tutti i rischi che ciò comporta, perché l’analisi è che il progetto suoni interessante e coerente, sia fondato e serio. Abbiamo per esempio evitato di proporre spettacoli di sicuro consenso che però ci avevano lasciato enormi dubbi sulla capacità di creare davvero un’esperienza nello spettatore. Per quanto riguarda gli spettacoli che hanno già debuttato, credo che debba esserci una coerenza rispetto ai propri presupposti interni e che questi non vengano traditi. Un esempio lo si può ritrovare nel lavoro MA di Latella che ho trovato sublime e con cui celebreremo Pasolini il primo novembre a Pesaro. Credo inoltre ci sia una gran voglia di novità da parte nostra e inconscia anche nel pubblico: per questo cerchiamo di inserire nella stagione punti di conoscenza diversi, in modo che possa risultare un’avventura interessante.

Cosa non dovrebbe mancare in una stagione “perfetta”?
La grandissima varietà: i colori devono essere tanti quanti sono quelli del teatro. La ricchezza deve essere totale perché solo così non si creano consorterie o ideologie ma si offre la visione di quanto il teatro possa raccontare la realtà attraverso sfaccettature inaudite, anche se non è sempre possibile. Quando parlo di varietà non mi riferisco solo a certe atmosfere, sentimenti e obiettivi, ma anche ai linguaggi: soprattutto da quest’anno, grazie all’input multidisciplinare dell’AMAT, stiamo percorrendo e intrecciando i linguaggi teatrali con quelli della danza e della musica.

amat_40-anni_bluQuali sono gli spettacoli imperdibili proposti quest’anno da AMAT? Perché?
Stiamo scaldando i motori per i 40 anni dell’attività di AMAT e quindi con Cantiere 40 – il progetto che abbiamo pensato per festeggiarli – ci divertiremo per un biennio. Per la stagione alle porte direi che c’è molta attesa per la prima italiana di Battlefield del superbo Peter Brook che ritorna al progetto poderoso del Mahabharata: siamo molto soddisfatti perché si è avviato un rapporto interessante e il Maestro torna al Teatro dell’Aquila che aveva già accolto The Suite. Da non perdere saranno anche le tre regie del pluripremiato Antonio Latella che omaggia Pasolini con MA a Pesaro,  Francis Bacon con Caro George a Osimo e Fassbinder con Ti regalo la mia morte, Veronika a Macerata: sono molto contento che quest’ultimo sia inserito nella stagione di prosa, perché è una scrittura drammaturgica importante e un lavoro di grande forza con una Monica Piseddu sublime; bisognerà certo favorirne il dialogo e per questo ci prenderemo cura del pubblico con grande attenzione. Sono molto curioso di alcuni spettacoli come Tradimenti di Pinter, che vive di suggestioni cinematografiche grazie alla firma di Michele Placido e la presenza di Ambra Angiolini, Francesco Scianna e Francesco Biscione (che invece ha una matrice più teatrale) o la rilettura del progetto ereditato da Luca Ronconi di Questa sera si recita a soggetto con un grande cast diretto da Federico Tiezzi. Come teatro di evasione mi stuzzica Un’ora di tranquillità che sta mettendo in scena Massimo Ghini con una delle attrici più interessanti del panorama italiano, Galatea Ranzi, che troviamo infatti in un contesto insolito e in dialogo con un bel gruppo di attori. Per quanto riguarda la danza da non perdere ad Ascoli Piceno, dove si va raffinando il programma dedicato all’arte coreutica, La sagra della primavera di Virgilio Sieni, un progetto corale importante che ha preso avvio al Comunale di Bologna l’anno scorso; l’energia dirompente di Stomp a Pesaro e poi i “cantieri aperti” di grandi autori come Michele Di Stefano.

foto di Caroline Moreau
Battlefield – foto di Caroline Moreau

foto di Brunella Giolivo
Ti regalo la mia morte, Veronika – foto di Brunella Giolivo

Che posto avrà il teatro di ricerca e i linguaggi del tempo presente nella stagione 15/16?
Abbiamo iniziato la stagione facendo un grosso investimento sui Teatri Invisibili, con gli amici del Laboratorio Teatrale Re Nudo, in cui abbiamo portato Generazione Scenario, Andrea Cosentino, Michele Sinisi, Punta Corsara, il lavoro di Frosini/Timpano, quotidiana.com, Oscar De Summa. Proseguiremo la proposta nelle stagioni in cui siamo riusciti ad aprire dei varchi e li difenderemo: penso ad Osimo, Ascoli Piceno, Macerata… Poi ci sarà un grande TeatrOltre che stiamo già pensando e quindi il territorio tra Fano, Pesaro e Urbino rimarrà un punto di rifermento per il contemporaneo. I linguaggi del tempo presente fanno sempre parte del teatro che ci piace, ci interessa e ci coinvolge, ma che è da difendere, soprattutto di questi tempi; sappiamo che senza questa parte crollerebbe una dinamicità del sistema teatrale, perciò riapriremo tutti i percorsi che servono.

Le Sacre - foto di Rocco Casaluci
Le Sacre – foto di Rocco Casaluci

Dalla parte dell’abbonato: quali sono i motivi che dovrebbero spingere uno spettatore ad abbonarsi a una stagione programmata da AMAT?
Di questi tempi si fanno gli abbonamenti alle cose che ci fanno stare bene: il teatro è come una palestra, ci mantiene il cervello in movimento, sempre. Poi una stagione è sempre concepita unitariamente: se uno la vede tutta coglie meglio il ritmo che abbiamo scelto nel costruirla; è un’avventura che va oltre la visione dei singoli spettacoli. Inoltre l’abbonamento è un regalo che si fa a se stessi, è la fedeltà a un’emozione e a una possibilità di riflessione che rimane e rimarrà unica. Ponderiamo sempre delle agevolazioni: non abbiamo alzato i prezzi dei biglietti e ci sono delle belle possibilità per i più giovani, penso per esempio al fatto che l’abbonamento a Pesaro in platea per i ragazzi under 19 è di € 90. L’invito che faccio è di percorrere il viaggio, divertirsi e interpellarci: l’anno scorso abbiamo varato la AMATo Abbonato a cui abbiamo offerto dei benefits curiosi che hanno molto colpito (qui si possono leggere degli articoli a riguardo, ndr) e sempre di più per noi l’abbonato è un complice speciale; quindi l’invito è di scriverci, contattarci via Facebook, dirci se una cosa è piaciuta o no, segnalarci un disservizio o farci un complimento. Penso che se la comunità del teatro si confronta sempre più nella diversità dei ruoli si possa rinsaldare; perciò se si ha voglia di vivere non tanto l’esperienza di una sera ma l’esperienza di una comunità teatrale l’abbonamento è sicuramente la formula migliore.

Dalla parte dello spettatore: perché uno spettatore – dopo una giornata lavorativa – dovrebbe scegliere di andare a vedere uno spettacolo di teatro e/o di danza e/o di musica?
Intanto deve approcciarsi: deve sapere che nell’arte c’è qualcosa che, come diceva Savinio, può essere “il premio serale alla sua fatica diurna”. Sicuramente deve fidarsi del fatto che nel teatro c’è qualcosa di una qualità non unica ma speciale, è come una serata tra amici, è come vedere un paesaggio; deve sapere che c’è un’emozione buona. Poi deve cercare di capire se in quello che conosce, legge, scruta, vede o studia sente risuonare qualcosa dentro, sente accendersi un punto di desiderio perché in fondo curiosità e desiderio sono le cose per cui noi facciamo tutto nella vita. A me piace molto chi si informa, chiede, chiama; vorrei davvero che lo spettatore ci disturbasse di più perché noi sappiamo tutto quello che presentiamo e sappiamo se stiamo preparando qualcosa di interessante per lui nell’offrire un’esperienza che difficilmente può trovare alla stessa identica maniera da un’altra parte. A me, per esempio, è successo di bloccare spettatori che conosco che mi chiamano chiedendomi se un dato spettacolo è adatto a loro, perché il nostro è un lavoro di servizio e non tutte le proposte funzionano per tutti. Se si mettono in fila, per esempio, famiglia, amici, bellezza, arte, paesaggio, cibo, credo si possa creare la settimana perfetta. L’invito è di disintossicarsi col teatro e di questo sono sicuro: gli spettacoli che presentiamo hanno una matrice qualitativa alta; ma la singola persona deve capire se quella sera ha voglia di fare quel determinato incontro; sicuramente l’esperienza a quel punto non sarà vana. Oggi più che mai abbiamo bisogno di spettatori curiosi e appassionati che si sentano parte di una comunità che sarebbe incompleta se fatta solo di operatori e artisti. Il grande senso del teatro è di condividere un confronto, instaurando un dialogo e tenendo presente l’obiettivo del ‘vivere bene insieme’, l’antidoto contro la banalità dilagante.

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