Le arti performative marchigiane alla prova di MPA: nuovi formati digitali per nuove modalità di interazione da remoto
Il progetto Marche Palcoscenico Aperto ha fatto emergere come sia in costante mutamento la relazione tra le performing art e i nuovi spazi configurati dalle tecnologie digitali. In questi mesi gli artisti hanno attraversato l’online come luogo in cui dare forma a visioni drammaturgiche o coreografiche, come scena e platea dove incontrare gli spettatori. Il confronto diretto con i quarantuno artisti che hanno partecipato ai focus group, ha permesso di mappare i formati che sono stati sviluppati – dal radiodramma online al rito web dalle animazioni di sand art al Teatro per corrispondenza, per citarne alcuni – e alcune delle loro caratteristiche – dalla transmedialità e all’immersività, dalla crossmedialità all’interattività e alla partecipazione.
La moltiplicazione dei formati tra crossmedialità e transmedialità
Una delle tendenze che più orientano i processi creativi degli artisti è quella di espandere le narrazioni e le ricerche stesse ben oltre l’unicità dell’evento da presentare online, esportando l’opera, e più spesso il processo creativo, su altri supporti. Questa temporalità dilatata apre alla crossmedialità, che permette al contenuto di un progetto creativo di distribuirsi attraverso differenti piattaforme e media; ciò si trova, ad esempio, nella ricerca del musicista Stefano Coppari che sottolinea come la presentazione online dello show multimediale Lock sia solo «l’inizio di un percorso perché da qui nascerà un video d’arte che fisserà le immagini proiettate sul monolite che è sul palco, un vinile con al suo interno un libro fotografico con le immagini scattate durante le riprese e la preparazione del lavoro, e alcune delle immagini che abbiamo chiesto attraverso una call al pubblico e che sono entrate a far parte del visual sul monolite». L’intento è quindi quello di tenere traccia non solo dell’evento ma anche del processo creativo stesso perché, come sottolinea sempre Coppari «abbiamo bisogno di un prodotto fisico che dia continuità all’esperienza, perché ci permette di riappropriarci del nostro corpo e della qualità del prodotto, per dare anche un continuo alla performance che rimarrà online».
Differente è invece l’utilizzo che ne fa Collettivo Ønar: qui la moltiplicazione dei formati è di tipo transmediale e la dimensione temporale dilatata è strettamente connessa alla costruzione drammaturgica e interattiva di quella che sarà poi la performance live su Zoom; in questo senso la transmedialità consente la costruzione di forme che cambiano in relazione ai diversi media utilizzati e permette allo spettatore di accedere alla creazione da differenti punti di ingresso: come racconta l’attore e regista Giacomo Lilliù PPSS MOSAICO 020 «nasce già come un contenitore dove abbiamo avuto modo di sperimentare varie forme, dalla traccia audio allo spettacolo teatrale e con Marche Palcoscenico Aperto siamo riusciti a dargli la forma di evento web». Il progetto si estende tra febbraio e maggio 2021 e l’evento finale PPSS MOSAICO 020_Rito web è anticipato da un prologo: «si tratta di una serie di sette email, le abbiamo chiamate lettere in bottiglia, inviate a chi ci ha rilasciato il proprio indirizzo sottoscrivendo un modulo di iscrizione che non solo raccontano il respiro e il tono del progetto ma introducono anche un elemento di interattività perché ognuna delle lettere, al di là degli elementi stilistici contiene anche una piccola missione che comporta il raccogliere dei reperti che verranno reintegrati nella performance live.»
Ciò che emerge da entrambi questi lavori è, oltre all’utilizzo di differenti formati per la costruzione, anche drammaturgica, dei progetti, la relazione interattiva con lo spettatore che viene chiamato in causa ben prima dell’evento online per la produzione di materiali che verranno poi integrati nelle performance.
La serialità nelle scritture coreografiche e le narrazioni teatrali
Su un altro versante hanno invece lavorato gli artisti che hanno scelto la serialità per la scansione temporale della pubblicazione dei contenuti. In questi casi la scelta di frammenti teatrali o coreografici suddivisi in più episodi, solitamente tra quattro e cinque, è data da una parte dalla specifica brevità che richiedono i contenuti online, dall’altra dallo svolgimento drammaturgico stesso dei progetti. Così è per IN FICTION la miniserie in cinque capitoli creata dal C.G.J Collettivo Giulio e Jari, presentata sul canale Vimeo della compagnia, dove come raccontano «l’intenzione non è di riportare il teatro nel digitale ma di adeguare le nostre potenzialità all’interno di quel format più utilizzato nelle piattaforme virtuali. Siamo partiti da un formato e insieme agli altri collaboratori, che sono anche co-autori del progetto, abbiamo creato cinque capitoli, dove in ogni episodio vi è protagonista uno degli artisti» in una sorta di autobiografia creativa. Stesso formato e stessa modalità di lavoro, con riprese e montaggi operati da videomaker, è attuata anche dalla danzatrice e coreografa Cecilia Ventriglia nei quattro episodi video presentati sul canale Youtube omonimo al progetto, Un albero mi ha chiesto di danzare: qui ogni «video performance è dedicata a un albero monumentale individuato nelle Marche, saranno dei video episodi di circa 10 minuti e saranno una dedica alla natura e ai bambini per alimentare questo sguardo che si meraviglia ancora della magnificenza e bellezza della natura».
La serialità si è resa osservabile anche in quegli eventi che si sono sviluppati attraverso pillole di teatro di figura che si ripetevano ogni settimana, quali il progetto Mercoledì Marionette della compagnia Di Filippo Marionette, e le animazioni di sand art Sabato Sand Art di Ermelinda Coccia entrambi sul canale Vimeo.
Dal cantastorie multimediale al teatro per posta: nuovi modelli immersivi per nuovi pubblici
Un altro formato è quello sviluppato per Mukashi Mukashi da Collettivo Vibrisse che dal loro desiderio di narrare alcune fiabe giapponesi, adattandole alle specifiche grammatiche della chat di messaggistica istantanea di Telegram, hanno creato una sorta di «cantastorie virtuale» come lo hanno definito le artiste. Come raccontano, Zoom e le piattaforme che emulano lo stare in scena sono state subito scartate perché «ci interessava che parlassero le storie piuttosto che i nostri visi associabili al racconto e vagliando le opportunità abbiamo pensato alla chat; inizialmente Whatsapp, poi Telegram perché ha funzionalità più specifiche per il nostro progetto e abbiamo adattato il mezzo al nostro scopo». Le affordance delle due piattaforme di messaggistica istantanea sono infatti molto differenti, perché al contrario di Whatsapp, Telegram oltre a permettere una maggior cura dei contenuti multimediali, permette di scegliere quando e se attivare i commenti dei fruitori, oltre che di cancellare i contenuti dopo averli condivisi richiamando in questo senso l’immediatezza e l’impermanenza della performance dal vivo.
Dalla stessa esigenza di trasmettere un contenuto artistico che non sia legato alla visione del corpo dell’attore, quindi concentrando l’attenzione dello spettatore su una narrazione che passa per la voce o per un contenuto multimediale, nasce anche il progetto Teatro per Corrispondenza dell’attore e regista Simone Guerro: «la sfida di creare qualcosa che andasse oltre il video […] solo ciò che era necessario per creare un’intimità, un’attesa. Il teatro ti dà l’occasione di parlare nelle orecchie e di arrivare alla pancia dello spettatore e per arrivare a ritrovare questa sensazione mi è venuta l’idea di costruire delle scatole, ognuna contenente una storia e il tutto funziona come un gioco con delle regole ben precise. C’è un sito che funziona come un e-commerce dove ti iscrivi e ti arriva il pacco con le storie. Il pacco si chiama Grimm e racconta storie di paura. C’è una data e un’ora che indica il momento in cui si può aprire e c’è scritto il setting che devi allestire. Arrivato il giorno, sistemato il setting, sul dispositivo mobile ti arriva il link a una web radio dove in diretta trasmetto la storia preceduta da una sorta di editoriale sul tema della paura. Dopo l’editoriale do il via all’apertura della scatola dove ci sono gli oggetti di scena creati a mano dalla scenografa e ognuno racconta un linguaggio teatrale – oggetti che fanno le ombre, oggetti per un racconto da tavolo, etc».
Il carattere immersivo di questa performance, dato dall’ascolto e dalla costruzione in tempo reale della scena da parte dei giovani spettatori, si fonda sul senso di intimità e attesa che la struttura stessa del progetto genera. Nello stesso modo opera anche il lavoro di Collettivo Vibrisse: qui la multimedialità della narrazione e l’immediatezza della stessa permettono ai partecipanti di immergersi nel racconto e di sentirsi partecipi insieme ad altri nella condivisione dell’esperienza. La particolare narrazione, che risponde alle grammatiche della chat di Telegram, si struttura attraverso la successione di emoticon, gift, illustrazioni animate di Lisa Gelli, contenuti audio sia vocali che musicali e brevi parti testuali e il racconto della storia è intrecciato allo sviluppo di alcune pillole sia linguistiche che culturali provenienti dalla tradizione giapponese. Ed è proprio la pubblicazione istantanea di questi contenuti connessa alla possibilità concessa dalla piattaforma di osservare le visualizzazioni in tempo reale, che permette ai fruitori di sentirsi insieme ad altri oltre che in presenza delle artiste, grazie anche alla possibilità di lasciare commenti alla fine del racconto mentre i contenuti appena condivisi iniziano a dissolversi.
Dalle piattaforme di videoconferenza a quelle di streaming per gamers: “stare in scena” nello spazio digitale
Chi invece ha cercato di più la specificità del teatro nell’attraversamento del nuovo dispositivo che stava indagando, combinando interattività e ricostruzione del senso del luogo, ha usufruito della piattaforma di videoconferenza Zoom dove si simula in qualche modo lo stare in scena dell’attore davanti allo spettatore ma distinguendo il proprio lavoro dal tipo di relazione più o meno interattiva che veniva sviluppata. In questo senso anche il canale Twitch è stato attraversato da quegli artisti che ricercavano nel mezzo una specificità che trasportasse la visione dello spettatore più vicino all’esperienza teatrale, giocando però di più con l’interazione, rispondendo alle grammatiche della piattaforma, come accade in Private Vision _ A call for life, un cine-spettacolo che si svolge in un appartamento e sviluppa il tema della violenza di genere. Come racconta il regista Lorenzo Bastianelli «si gioca un po’ con lo spettatore per creare un’interazione anche con la storia: potrà interagire con i personaggi attraverso i numeri di telefono che escono sullo schermo».
Facebook e la live reaction: per una rimediazione del loop autopoietico di feedback
Spostando l’attenzione sulle piattaforme di comunicazione scelte, oltre alle già citate, anche Facebook è stata utilizzata dagli artisti per la condivisione dei lavori e chi l’ha scelta lo ha fatto sia per una maggior condivisione e quindi apertura ai propri pubblici di riferimento o agli utenti delle altre pagine, tra le quali spesso quella di AMAT, dove erano condivise le dirette che avvenivano principalmente sui canali Youtube o Vimeo e altri social media degli artisti, sia per alcune facilitazioni concesse dalla piattaforma. Così accade per You are me di Michela Paoloni, una performance di danza partecipata dove l’azione coreografica reagisce in tempo reale al pubblico che partecipa attraverso dei sondaggi: come sottolinea la danzatrice, infatti, «inizialmente pensavo di utilizzare la piattaforma Live Reacting ma ha un ritardo molto alto di risultato e quindi abbiamo scelto quella che propone Facebook che ha un ritardo ma molto minore, sui 7-10 secondi, quindi molto gestibile.» In una sorta di feedback loop autopoietico, quel meccanismo specifico di relazione che si attua tra spettatore e performer in presenza, ma che si attiva anche nell’interazione mediata come precisa Laura Gemini in riferimento alla digital liveness, il pubblico è presente da remoto e la danzatrice è fortemente consapevole della sua presenza poiché, come racconta Paoloni, il pubblico «poteva condizionare quello che io stavo facendo in scena in tempo reale e io mi affidavo alle sue scelte.»
Nonostante le difficoltà riscontrate anche su altre piattaforme rispetto alle tempistiche del reacting, e seppur adottando strategie differenti di interazione, gli artisti si sono mossi in una direzione simile, facendo della partecipazione del pubblico, declinata in tantissime varianti, una costante sia per le creazioni di danza che di teatro, sia per quelle di circo contemporaneo che di musica lavorando nell’ottica di costruire dei veri e propri habitat partecipativi (Balzola, Rosa 2011); grazie all’interattività e alle molteplici pratiche di partecipazione la relazione che gli artisti sviluppano da remoto con i pubblici si rende attuabile anche nello spazio digitale.
Francesca Giuliani – Redazione NEOff
*le immagini fotografiche sono:
copertina-Uno screenshot da Lock
1-Uno screenshot da PPSS MOSAICO 020_ Rito web
2-Uno screenshot dall’episodio 4 di Un albero mi ha chiesto di danzare
3-Alcuni oggetti contenuti nelle scatole del Teatro per corrispondenza
(198)