Quattro danze coloniali di MK
Calcolare accuratamente le distanze tra i corpi che occupano uno spazio; esplorare l’ambiente circostante, muoversi al suo interno, cambiare la propria progettualità di spostamento nell’incontro con l’Altro.
Parte da queste mosse Quattro danze coloniali viste da vicino della compagnia MK, visto al Teatro Studio alla Mole di Ancona. Inserito nel progetto più ampio de Il Giro del mondo in 80 giorni ispirato al romanzo di Jules Verne, il lavoro si focalizza su immagini ben precise che riescono a far passare lo statuto dei colonizzatori, invasori di uno spazio già ben definito precedentemente e costretto a cambiare e adattarsi in base alla dominanza umana.
I performer in scena, Biagio Caravano, Philippe Barbut e Laura Scarpini, rimettono continuamente in gioco la loro postura, in base a ciò che succede. Nell’esplorazione dell’ambiente circostante, i tre si incontrano, ma più volte cercano di non avere contatto, andando a occupare uno spazio ben preciso, che sia esclusivamente il proprio. Nei corpi che si piegano solo le giunture rimangono gli unici punti saldi di movimenti composti da incontrollati gesti di braccia e gambe.
Nelle diverse scene che si susseguono i performer si alternano, interpretando a turni il colonizzatore e colonizzato: si riconoscono le immagini dei safari, ma anche dell’uomo dominatore che schiaccia sotto il peso della propria gamba, come fosse una preda, un ipotetico schiavo. Ma non è solo questo: c’è una negoziazione tra i corpi di Caravano, Barbut e Scarpini, una ricerca di coesistenza che inizia nella valutazione della stessa distanza.
Dopo lo spettacolo, il coreografo Michele Di Stefano, assieme al resto della compagnia, incontra in uno scambio di battute il pubblico, in un dialogo coordinato dalla studiosa Gloria De Angeli per il progetto Vision Work organizzato da Associazione Hexperimenta.
Come sostiene Di Stefano, l’autore francese Jules Verne è stato un anticipatore di un certo tipo di spazio: quello della circolazione delle merci (spazio del capitale globale) e quello del turismo, ossia un luogo che deve essere privo di ostacoli, dove ogni imprevisto diventa un incidente della progettualità di andare da un punto A verso un punto B.
In un ambiente che a tratti diventa anche reale attraverso il suono curato da Lorenzo Bianchi e un clima meteorologico ricreato che ricorda i monsoni, Quattro danze coloniali viste da vicino trova nella retorica coloniale, come afferma Di Stefano nelle note di regia, «un territorio di scavo sufficientemente ambiguo e problematico da permetterci di esercitare la negoziazione delle differenze in un corpo unico, costituito da progettualità contrastanti.»
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