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Alaska 2019: Quattro danze di mk al Mind Studios

Alaska 2019: Quattro danze di mk al Mind Studios

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Alaska: un paese lontano, un territorio inesplorato ma con un grande potenziale. Alaska non è solo uno stato nella cartina geografica del mondo, ma anche un progetto molto speciale che AMAT ha creato insieme a KLm ossia tre compagnie come Kinkaleri, Le Supplici e mk.

Alaska è una zona dell’invenzione. Un mondo sconosciuto dove si cercano relazioni tra l’esistente e il non esistente. È una regione da ridisegnare costantemente grazie alla sinergia di artisti e istituzioni culturali, che intendono aprirsi all’esplorazione di nuove traiettorie nel campo della danza, della coreografia, della scena e nelle relazioni tra opera e spettatore. Il gruppo artistico KLm [Kinkaleri, Le Supplici, mk], ha realizzato con Alaska un’idea fluida che possa quasi nominarsi come un Centro Coreografico Diffuso, superando la stanzialità e l’idea di luogo abitato in favore di spostamenti costanti sul territorio nazionale e internazionale. Alaska è un progetto nomade capace di aprire nuovi orizzonti all’interno di qualsiasi spazio, in una serie di appuntamenti in cui l’accadimento artistico vive costantemente nelle pratiche dell’esperimento, dell’invenzione e della relazione con lo spettatore e con gli altri artisti presenti.

Per il secondo anno consecutivo il progetto Alaska prende vita a Civitanova Marche. Tra novembre e dicembre 2019, queste tre compagnie – Kinkaleri, Le Supplici e mk – hanno abitato e abiteranno il Teatro Annibal Caro e la Foresteria Imperatrice Eugenia grazie a  Civitanova casa della Danza, progetto di residenza ideato e realizzato da AMAT
finanziato da MiBACT e Regione Marche.
[Nel 2018 nell’ambito del progetto Alaska si era svolto uno speciale laboratorio di Kinkaleri con All! e avevamo assistito alla tappa Inverno de Le Stagioni invisibiliCiclo coreografico infinito di Le Supplici]

A novembre quindi la compagnia mk guidata da Michele Di Stefano, ha portato in scena lo spettacolo Quattro danze coloniali viste da vicino in un luogo altro, diverso dal teatro. Per la prima volta infatti i corpi danzanti di Philippe Barbut, Biagio Caravano e Laura Scarpini hanno portato il pubblico a guardare con occhi diversi il Mind Studios, un locale ricavato da una ex officina del porto civitanovese dove solitamente si ascoltano concerti. Grazie alla danza un ambiente dedito a tutt’altra attività ha ospitato lo spettatore trasportandolo verso mondi altri, portandolo in territori inesplorati, proprio come la nostra cara Alaska.

Queste danze sono brevi sketch coreografici di indagine sull’incontro e la distanza tra i corpi, attraversati da una vena esotica e romanzesca tipica delle illustrazioni nei racconti di avventura e di viaggio. Utilizzando una retorica e un immaginario “coloniali” entriamo in un mondo ambiguo di esaltazione della lotta tra i protagonisti immaginari di un gioco di potere, sopraffazione e negoziazione, che rimanda alle difficoltà che ogni incontro con la differenza comporta. Lo spettacolo criticizza la figura onnivora del turista occidentale, a caccia di un altrove sempre più difficile da trovare al di fuori del suo surrogato estetizzante. La retorica coloniale è piena di immagini ambigue sul negoziato incessante tra uomini e tra culture per la gestione dello spazio. Su tali immagini la danza si proietta come una sfocatura, come una condizione percettiva dei propri confini su più livelli, uno dei quali è proprio l’accettazione dei malintesi che garantiscono l’incontro tra estranei.

Ad aprire la serata è stato Jeanne, ideato e coreografato da Michela Paoloni, danzatrice marchigiana che ha indagato con la regia di Fabio Bacaloni e sostenuta dalla Compagnia Simona Bucci/Compagnia degli Istanti, la figura di Giovanna D’Arco: donna rivoluzionaria, esempio di colei che combatte per un ideale senza compromessi. In scena una figura femminile solitaria, che agisce attraverso differenti stadi emotivi in bilico tra il sogno, il ricordo e l’attimo presente in cui vive l’azione in due tempi che si alternano: un tempo lontano, evocato, immerso nelle sfocature di un’alba umida e un tempo attuale di cui il corpo è portavoce principale.

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