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Ridefinire il “qui”. Pratiche di solidarietà e sostenibilità per la riorganizzazione della cultura

Ridefinire il “qui”. Pratiche di solidarietà e sostenibilità per la riorganizzazione della cultura

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A poco a poco, se iniziamo, ognuno di noi inizia a immaginare gesti-barriera
non solo contro il virus, ma contro ogni elemento di un modo di produzione
che non vogliamo riprendere […]
Bruno Latour

La chiusura dei luoghi deputati alla cultura, la riprogrammazione fino alla cancellazione degli eventi e l’isolamento forzato hanno dato il via a una serie di pratiche che hanno mobilitato tutto il mondo della cultura. Alcune mobilitazioni hanno scelto lo spazio reale, la propria città e i suoi abitanti come spettatori, altre si sono mosse sul digitale per intercettare nel mondo possibili spettatori, ma tutte con l’obiettivo che non si interrompesse l’attività creativa e quindi il legame con i propri pubblici. Guardare ad alcune di queste esperienze insieme alle riflessioni prodotte in questo periodo dagli artisti e dagli enti culturali per tracciare alcune possibili buone pratiche si rivelerà fondamentale per la ricostruzione in quel post che è già alle porte. Connettere e far dialogare le azioni sviluppate nei vari ambienti culturali è una strada auspicabile per quel settore che potrebbe, e dovrebbe, fare da apripista ad esperimenti di “pratiche di sostenibilità e solidarietà che aiutino a sopravvivere su un pianeta infetto”, per usare le parole di Donna Haraway durante la presentazione del suo ultimo libro Chthulucene a Salto Extra, l’edizione quest’anno online del salone del libro di Torino. Attraversando in modo trasversale le attività proposte dai differenti settori culturali in ambito internazionale proveremo a ripercorrere quelle riflessioni e quelle azioni che ci sembrano portare un più preciso sguardo sul futuro.

[ph. Reuter, Qintai Grand Theatre in Wuhan, 3 aprile, Reuters]

Immaginare nuove ecologie di esistenza: le organizzazioni teatrali

Molte delle mobilitazioni nate in rete hanno fatto emergere da questa condizione di distacco e liminarità un tentativo di communitas, per usare le parole di Victor Turner, un movimento spontaneo che si manifesta appunto quando accade qualcosa di extra-quotidiano che va ad interrompere le norme che regolano la società in quel momento. In Inghilterra e Irlanda sia i teatri che gli artisti con carriere più stabili si sono organizzati per aiutare tutti quegli artisti freelance (si calcola il 70%) che non hanno potuto accedere agli aiuti statali e lo hanno fatto organizzando online delle raccolte fondi e degli appelli alla condivisione di cibo, di case e di tutto ciò che è più necessario alla sopravvivenza. Oltre a questo si sono diffuse tavole rotonde e reti di supporto tra pari e alcune strutture hanno ideato innovativi programmi online a sostegno della salvaguardia creativa e mentale degli artisti in isolamento. Tra le maglie di una grande frattura che si è aperta si è resa ancora più evidente quella che è la fragilità endemica, strutturale, che attraversa questo settore.
Ma è anche vero che su alcune di quelle mobilitazioni che nell’ambiente culturale si sono attivate si possono appoggiare le basi per la ricostruzione futura, che guardi al passato per provare a praticare già nel presente il futuro.
Alcune delle azioni specifiche nate anche da contesti eterogenei hanno innescato modi alternativi di esistenza condivisa, “nuove grammatiche della vita collettiva”, grazie alla sperimentazione di innovative forme di dialogo tra ambienti che fino a poco prima erano più distanti. Il ruolo che in questo senso hanno le istituzioni culturali nel ripensare la fruizione della cultura e la riappropriazione dello spazio pubblico oggi negato alla condivisione di moltitudini di corpi sarà centrale, e già lo è, nel ripensare anche ai rapporti tra locale/globale, personale/privato, artisti/cittadini, online/offline. Raccogliendo le dichiarazioni dei direttori dei festival o degli enti culturali due sono le sfide che si sono annunciate in questo presente: da una parte la necessità di esplorare il digitale per aprirsi sempre di più al dialogo con il fuori dall’altra avvicinarsi al dentro, al locale. In Europa molti teatri anche minori, consapevoli del fatto che probabilmente per un po’ di tempo non sarà facile spostarsi come prima, stanno iniziando ad aprirsi alle comunità di artisti del territorio per innescare nuove pratiche di solidarietà e collaborazione. Pratiche che spesso erano già attive e feconde negli ambienti culturali, come ha sottolineato l’ex-direttore artistico del Battersea Arts Centre, David Jubb, ma che hanno ceduto per rispondere al moltiplicarsi di processi produttivi asfissianti,

by working in partnership on almost everything we did, we developed shared creative processes and benefited hugely from the creative inspiration of artists and community members. I sometimes wonder how much further we could have gone as a community and artist centred venue if I had spent more time celebrating that fact; and stopped chasing the idea of always producing more work.

L’apertura e il dialogo con il locale come comunità di rifermento dal quale ripartire è  anche l’auspicio del performer Xavier de Sousa che ha evidenziato come questa possa essere una sfida che vale la pena di cogliere fin da ora

as well as exploring the digital, this could also be a good time to start to look at our neighbourhoods, our local communities and our local colleagues to ways in which we can operate and collaborate locally too. That will be our most immediate and vibrant community that is available to us and for me, it is an incredibly exciting opportunity.

L’altra frontiera che dovrà continuare ad abbattere il mondo della cultura, e dello spettacolo dal vivo in particolare, è l’accesso alle tecnologie e al web al fine di garantire in qualsiasi momento quei processi di scambio interculturale e transculturale che connettono il locale al globale e che stanno alle radici del teatro. Ma sia molti artisti che tanti altri lavoratori del settore non sono del tutto pronti a questo scarto, come da tanti è stato sottolineato e tra gli altri anche da Ong Keng Sen, direttore artistico di TheatreWorks di Singapore

The problem is not that we lack the technology, but the people and expertise: those who are trained to use the technology and possess the specialised skills as well as the aesthetic eye to integrate technology with art. One example is the dance filmmaker, as opposed to a generic filmmaker, who specialises in recording a live dance performance for digital consumption. Technology should not be incorporated simply for gimmicks and frills but wielded purposefully to advance and develop the narrative.

Anche i festival, sia quelli annullati sia quelli che si sono trasferiti sul digitale sia quelli che si terranno nel rispetto delle norme anti-diffusione del virus, stanno ripensando le loro programmazioni da vari punti di vista: 1) quello della sostenibilità economica ed ecologica; 2) quello dell’esclusività, provando ad attrezzarsi per un’accessibilità che sia sempre meno discriminatoria; 3) quello del dialogo tra comunità di artisti e i cittadini perché si diffondano nuove modalità di partecipazione all’arte. L’attenzione delle iniziative online è stata posta sulla presenza non tanto fisica quanto piuttosto sociale del pubblico, lavorando su precise strategie liveness che mantenessero acceso lo spirito della communitas – tra queste la creazione di alcuni spazi digitali che si fanno spazi creativi di condivisione come il Cocktail Bar su Zoom per incontrare gli artisti dopo la performance proposte dal festival inglese GIFT o la creazione di dj set digitali già ampiamente diffusi nel mondo del clubbing. L’annullamento di un evento, d’altra parte, per alcuni non è coinciso con la semplicistica riprogrammazione al 2021 ma ha attivato un’attenta riflessione su una crisi che già era in atto. Il direttore dello storico festival di Edimburgo, una realtà che da tempo si era fatta brand per un turismo culturale che aveva ormai rotto in modo anche violento l’equilibrio e la sostenibilità nel rapporto con la città, parla di un problema di fondo nel sistema delle arti dallo spettacolo dal vivo, volte alla produzione continua e massificata

Over the last 30 years or so, it’s been easy to be drawn into a world in which the arts are framed as part of a wider economic regeneration agenda that’s all about tourism and never-ending growth. But now, I think there is a real change of political mood under way; and we’re recognising that that old approach is no longer sustainable either environmentally, or in terms of the real value of the arts, which are so much more than just a branding exercise.

Sarà utile questo tempo per quei festival, spazi per eccellenza deputati a svolgere il ruolo di rinnovamento dell’immaginario e sperimentazione di pratiche utopiche, che ripenseranno la propria riorganizzazione in relazione agli artisti, alla città e ai cittadini, entrando in dialogo con la città stessa affinché anch’essa ripensi parte dei suoi spazi in relazione all’evento.

[ph. Frame da un concerto sulla piattaforma di gioco Fortnine]

Generare parentele impreviste raccogliendo nuove sfide: il settore dei beni culturali

Il settore dei beni culturali ha già da tempo intrapreso la strada del digitale per l’innovazione culturale e sociale sviluppando nuove modalità di organizzazione e comunicazione e per connettersi alle sue comunità. In Italia in particolare questi ambienti, che già da tempo stanno ricevendo fondi statali ed europei per lo sviluppo digitale, hanno avuto in queste settimane un importante ruolo nel connettere il patrimonio artistico con i cittadini e i turisti del futuro attivando diversificate pratiche di audience engagement. L’ulteriore sviluppo di piattaforme innovative, rinnovate modalità di interazione con i pubblici, un’accessibilità che fosse rivolta sia ai pubblici lontani territorialmente che a quelli lontani culturalmente per garantire una fruizione la più omogenea per tutti: sono queste le sfide che ha raccolto e continua a raccogliere il settore museale, che oggi si organizza per ospitare nuovi incontri. Alcuni dei maggiori musei italiani hanno deciso di aprire le porte ai giovani artisti dei loro territori offrendo spazi di lavoro – scade in questi giorni il bando di accesso per il Nuovo Forno del Pane del Mambo di Bologna. A Bruxelles il direttore generale della Bozar, lo storico dell’arte Paul Dujardin, ha fatto appello alle maggiori istituzioni culturali affinché aprano le loro porte ai giovani artisti senza residenza. Gli echi di pratiche comuni segnano una svolta e un’apertura di queste grandi istituzioni che fino a poco tempo fa erano più restie a queste forme di condivisione.

Se da una parte le grandi istituzioni cercano di avvicinarsi sempre di più ai loro contesti sociali e territoriali di riferimento, dall’altra gli enti culturali più piccoli, per vocazione sono più attenti al contemporaneo ma spesso fuori dai finanziamenti, dovrebbero iniziare a fare rete, costruendo un ecosistema sostenibile di spazi che lavorino in collaborazione, ognuno riflettendo sulla propria comunità. Far sì che si generino queste parentele impreviste, inimmaginabili fino ad oggi, potrebbe essere lo strumento sempre più adatto per il prossimo tempo come ha sottolineato tra gli altri Max Goelitz, il direttore di Häusler Contemporary Munich

The concept of a locally-rooted gallery, addressing the local and regional audience, but presenting an international program, is probably a promising one for the time that lies ahead of us. I dream of a network of authentic galleries and project spaces that act super agile and collaborative, in a decentralised organisation that corresponds much more to artistic visions than hierarchical structures.

Uscire dai propri confini, costruire reti di dialogo e solidarietà che consentano uno scambio non solo di patrimoni e saperi ma anche di potere di acquisto e accessibilità ai finanziamenti significherà per queste realtà acquisire quella visibilità e quella capacità innovativa che garantirà la loro necessaria sostenibilità ed esistenza.

[ph. Francesca Giuliani, screenshot dello schermo durante la performance The Kreisky Test di Nesterval]
Appunti per il futuro

Non puoi avere gli stessi capi per sempre. Sono davvero pochissime le persone del “vecchio mondo” che possono reggere la trasformazione di cui ha bisogno oggi un’azienda giornalistica. Persone che hanno fatto carriera in un modo pre-digitale come possono guidare la transizione verso il nuovo? Il carico professionale, tecnologico, ma anche personale ed emotivo che comporta questo lavoro è impressionante. Io riesco a sostenerlo ma siamo pochissimi.

Le parole di Mark Thompson, amministratore delegato del The New York Times, che durante il lockdown ha conosciuto un’impennata di lettori e abbonati, segnalano un cambiamento di prospettiva che da qualche parte è già iniziato da tempo. Cogliere la sfida del digitale significa una maggiore sostenibilità economica e ambientale dall’altra una più equa accessibilità alla cultura. Sicuramente si dovrà risolvere l’ancora ampio problema del digital divide che, oltre a mostrare una grave disparità sociale, è la prima accusa che, in alcuni ambiti culturali, viene rivolta a chi procede in quella direzione. Chi già lo fa oltre a lavorare nell’ottica di porre a sistema risorse e competenze – tra gli altri il progetto sostenuto dalla regione Piemonte e dalla Fondazione Piemonte dal Vivo “Digital Hangar” – si pone già in una visione che va oltre l’accessibilità sociale ed economica, ponendosi nell’ottica di capire come dal punto di vista dell’ampliamento e della diversificazione del pubblico, l’attenzione dovrà essere sempre di più volta a facilitare l’accessibilità al digitale sia dal punto di vista dell’analfabetismo sia dal punto di vista di qualsiasi disabilità fisica.

Oggi che le città sono sempre meno vuote e sembrano di nuovo muoversi come se nulla fosse accaduto e se nulla stesse accadendo in quei luoghi dove ancora il virus sostenuto dalla povertà continua ad accumulare i cadaveri; oggi che i luoghi di cultura iniziano a riaprire seppur a debita distanza, e i canali digitali ad accomiatarsi e silenziarsi. Oggi sembra ancora più necessario riabitare lo spazio pubblico così come è stato fatto nonostante tutto nelle scorse settimane, uscendo dal privato grazie alle connessioni in remoto e alle finestre, ai balconi, ai tetti che hanno ospitato le parole e le azioni. Questa può essere la strada affinché tutti abbiano la consapevolezza che qualcosa è cambiato, per evitare, grazie alla condivisione costante delle pratiche e delle riflessioni, di richiudersi ognuno nel proprio spazio di provvisoria sopravvivenza. Ora che siamo ancora feriti, ora che siamo ancora vulnerabili, ora che possiamo ancora vedere in altro modo possiamo evitare la ripetizione dell’uguale (Byung-Chul Han, La salvezza del bello) e far sì che un dialogo ininterrotto si apra tra l’arte e la cittadinanza.

 

Francesca Giuliani – Redazione NEOff

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