Intervista alla protagonista di “MA” Candida Nieri, diretta da Antonio Latella
Quarant’anni fa in Italia se ne andava una delle penne più affilate del ‘900, un poeta, un cineasta, un drammaturgo, un intellettuale: Pier Paolo Pasolini è stato spesso dipinto come colui che ha saputo prevedere quel futuro che è oggi per noi il presente. A Pesaro si è voluto rendere omaggio al grande uomo che “amava ferocemente e disperatamente la vita”, come scriveva tra le righe dei suoi pensieri: per questo domenica 1 novembre la Chiesa dell’Annunziata ha ospitato – su iniziativa del Comune di Pesaro e AMAT – lo spettacolo Ma del pluripremiato regista Antonio Latella, lavoro ispirato alla figura della madre nell’opera di Pasolini. Per l’occasione sono stati esposti anche alcuni scatti fotografici dell’autore realizzati dal Maestro Mario Dondero. Partendo dalla prima sillaba della parola mamma, la splendida attrice in scena Candida Nieri che qui abbiamo intervistato, ci ha guidato in un viaggio pieno di emozioni.
Lo spettacolo Ma è un omaggio a Pasolini a 40 anni dalla sua scomparsa: cosa significa per un’attrice confrontarsi con un così grande autore?
È uno spettacolo sorprendente riguardo alla figura di Pasolini perché è affrontato da una prospettiva particolare, in cui si cerca di indagare non solo la sua eredità intellettuale, ma un aspetto molto intimo dell’autore, ossia il rapporto che riguarda lui e la madre. È una prospettiva che tocca quindi sul piano personale: se i grandi autori si affrontano solitamente con una certa distanza, questa particolare prospettiva mi ha obbligato in qualche modo a entrare in una dimensione più intima.
Ma come Madre, come figura materna, come Madre-Scrittura: che percorso personale ha dovuto affrontare per realizzare questo monologo?
È un percorso che abbiamo sostenuto insieme io, la drammaturga Linda Dalisi, il regista Antonio Latella e il compositore Franco Visioli: abbiamo lavorato in una dimensione di confronto fatta di totale confidenza e intimità. Latella mi ha chiesto qualcosa di veramente molto particolare, non capita spesso di dover affrontare uno spettacolo senza creare la maschera di un personaggio ma cercando di vivere realmente un attraversamento del dolore, del lutto, della perdita. Non la considero una sfida intrapresa in modo solitario: ognuno di noi ha portato qualcosa di fondamentale per questo viaggio che non avrei potuto affrontare se non accompagnata da un regista di cui nutro una grande fiducia, da un testo che è partitura delicata e precisa, una vera e propria bussola, e dalla partitura musicale che è il punto di partenza da cui tutto poi si origina. Lo Stabat Mater scritto da Franco Visioli e presente all’inizio permette al testo di dispiegarsi in una forma lirica che segue una sua partitura musicale che si conclude come un cerchio.
Oltre al lavoro mentale che ha dovuto affrontare c’è anche un lavoro fisico?
Rispetto ad altri spettacoli, qui il percorso fisico è una conseguenza. Il mio modo di stare in scena viene dalla volontà di creare qualcosa che accada che non sia una rappresentazione, ma un modo per far arrivare ancora con più forza il testo.
C’è un consiglio che vorrebbe dare allo spettatore prima di avvicinarsi a questo spettacolo?
Il mio consiglio è quello di cercare di superare delle eventuali difficoltà e di avere fiducia; il segreto è lasciarsi andare.
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