Il nuovo lavoro di Jan Fabre incanta Civitanova Danza
Alla ventunesima edizione del Festival di Civitanova Danza ha avuto il suo debutto italiano la nuova e ultima creazione dell’artista belga Jan Fabre Attends, Attends, Attends… Pour mon père che è stata presentata in due serate al Teatro Annibal Caro. Uno straordinario solo per un danzatore, Cédric Charron – definito dallo stesso Fabre “guerriero di bellezza”, nonché stretto collaboratore che ha preso parte ad alcune performance storiche del coreografo -, ha traghettato il pubblico in uno spazio senza tempo, avvolto da una meravigliosa scenografia fatta di fumo e di luci raffinate, curate nel minimo dettaglio. Un godimento estetico per gli occhi e un approfondimento significativo sul mistero del passaggio finale, sul rapporto con i padri (biologici e artistici) e sui desideri dell’uomo. Vi proponiamo qui un piccolo excursus tra alcuni articoli usciti sullo spettacolo.
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“Vestito tutto di rosso e con una bombetta in testa che deporrà a terra, Cédric Charron, barba e capelli lunghi, fisico asciutto, sguardo severo, emerge da una fitta coltre di fumo che dal palcoscenico scende rasoterra in platea. Tenendo in mano una lunga asta, il novello Caronte avanza remando. Leggermente diradatasi, la nebbia rivelerà la danza istintiva, energica, a tratti animalesca, violenta, ossessiva e tenera, di un figlio che, anche con le parole, si rivolge al proprio padre supplicandolo, a più riprese, di aspettare.
Aspettare per potergli parlare, per rinviare la morte che lo separerà definitivamente al suo sguardo. È una discesa agli inferi intesa come luogo di transito, come scandaglio interiore di un rapporto di amore. Mai come in questo spettacolo, Attends, attends, attends… Pour mon pére, l’appellativo di “guerriero della bellezza” – definizione del fiammingo Jan Fabre per i suoi danzatori della compagnia Troubleyn – si addice allo straordinario performer Charron, che mette in scena, in questo rituale d’addio, la sua storia personale. Su di lui e per lui Fabre ha plasmato un assolo tra i più intensi mai visti per forza e potenza evocativa, per identificazione poetica e umana dell’interprete, capace di catturare occhi, mente e respiro, trasportandoci dentro un viaggio spirituale ed emotivo, “sull’altra sponda del tempo”. Lì vuole condurre il proprio padre, cui si rivolge per tutto il tempo, per prepararlo e accompagnarlo nell’ultimo passaggio della vita.”
Giuseppe Distefano per Il Sole 24 Ore
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“Un atto rituale prende forma con la deposizione progressiva di sette oboli e l’offerta di sangue, mentre l’interprete in preda ad una sorta di trance isterica abbandona il suo corpo affinché possa essere cavalcato dal suo stesso padre. Si supplica il genitore di attendere, di comprendere, di vivere le stesse pulsioni sentite dal figlio. Regalando immagini di cruda poesia scenica, Jan Fabre pare qui indicare una tensione tragica che nasce nell’atto disperato e forse senza esito di far comunicare due uomini, lontani ma al contempo molto vicini.”
Carmelo Antonio Zapparrata per Arte e Arti Magazine
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“Metamorfico – al punto da far trasformare l’uomo in un animale selvaggio: lo sguardo vitreo, il volto appuntito, braccia e gambe che si mutano sotto ai nostri occhi nelle zampe svelte e felpate di un lupo. Ascetico – come può essere ascetica la rappresentazione teatrale, e quindi la ‘finzione’, di un rito penitenziale dagli echi ancestrali, crudi e assoluti fino all’ estrazione (finta) di sangue dal proprio corpo. Mistico – così da farci perdere il senso della realtà e farci intravedere l’ipotesi di stare assistendo alla Passione (e quel dialogo a distanza tra figlio e padre diventa d’un tratto, misteriosamente, poeticamente, probabilmente quello tra Figlio e Padre). (…) Di fatto il visionario artista fiammingo immerge il pubblico in un’atmosfera atemporale, complici le coltri di fumo che ammantano la scena e il corpo guizzante di Cédric, in un rosso fiammeggiante che saetta per l’aria ad ogni balzo, ad ogni srotolamento a terra: una dimensione onirica in cui lo strepitoso Charron si muove ora felpato, ora bestiale, talvolta portando faticosamente sulle spalle un lungo bastone (una croce?), che poi diventa un remo per attraversare i fiumi del tempo.”
Silvia Poletti per Delteatro.it
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“C’è molto di intimo e personale in questo Attends, attends, attends… Pour mon père, nuovo spettacolo di Jan Fabre presentato in prima nazionale a Civitanova Danza. Che chiama in causa non solo il rapporto tra padre e figlio ma il rapporto stesso tra il danzatore e il suo coreografo, la loro storia di collaborazione ormai più che decennale, la possibilità di tracciare nuovi territori dove rinnovare il proprio incontro. Il titolo stesso è una celebrazione di ciò: “Attends, attends, attends…”. “Aspetta, ho un’idea” è una frase ricorrente durante la preparazione degli spettacoli, nel momento in cui i danzatori sono chiamati a produrre materiali che possano dar forma e sostanza alle visioni del coreografo. Piccoli aneddoti che vegono svelati al pubblico grazie a un incontro organizzato, come sempre con lungimiranza, dall’Amat presso la biblioteca Zavatti, e condotto dalla professoressa Cuppini dell’Università di Urbino, a cui interviene lo stesso Charron. Si parla così delle similitudini tra l’arte figurativa fiamminga e l’opera di Jan Fabre (…) di cosa significhi un percorso di collaborazione così lungo e dei concetti di estetica e ovviamente di bellezza (…) E se la bellezza è, secondo la definizione che lo stesso danzatore ci offre, quel momento assoluto e spesso fallito in cui si “è”, lo ringraziamo d’essere stato con noi a cercare quel momento sia nell’informalità dell’incontro che sul palcoscenico.”
Stefania Zepponi per Krapp’s Last Post
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