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Senza fin.e a Urbino

Senza fin.e a Urbino

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A Urbino, in un vicolo a pochi passi dalla casa natale di Raffaello, una piccola folla aspetta fuori dal portone dell’Aula teatro della Scuola di Scenografia – Accademia di Belle Arti. Tutti stringono tra le mani un bigliettino, stretto e lungo, con sopra la scritta SENZA FIN.e; attendono curiosi di sapere che cosa sono riusciti a creare gli studenti dell’Accademia con uno spettacolo realizzato interamente da loro e con il sostegno del professore di scenografia Francesco Calcagnini.

Il portone si apre, entrano 3 persone alla volta; si varca una soglia abitata da candele, buio e figure antropomorfe. Un portiere in dialetto romano ci chiede di spegnere il cellulare. A Senza fin.e le comunicazioni con l’esterno non sono possibili: dopo tutto si è nell’aldilà. Un aldilà particolare, dove non vi è “l’eterno riposo”, ma l’ennesimo luogo in cui la burocrazia incomprensibile ti rende la vita – in questo caso la morte – un vero inferno; dove gli slogan pubblicitari ti perseguitano e la fine non è che una chimera; un posto in cui l’unica cosa da fare è “attendere di avere qualcosa da attendere”.

Il testo originale di Erica Montorsi, giovane laureata dell’Accademia, fa incontrare la minaccia dell’inferno presente nel libretto musicato da Claudio Monteverdi Il Ballo delle Ingrate con le parole profetiche de Lo scambio impossibile di Baudrillard. Al suo interno un protagonista disorientato, dal nome quasi pirandelliano – Enrico Rimasto –, cerca di capire come sia giunto in quell’aldilà, traghettato da un coniglio gigante e morto per colpa di un gatto (come suggerisce il coro de-coro). Impossibile da comprendere: la morte non ammette ignoranza… Neanche la morte? Un’atmosfera ironica e dark aleggia su tutta lo spettacolo, dove l’arte scenica, e l’abilità di chi l’ha pensata e realizzata, sfodera tutto il suo fascino.

Il pubblico, disposto lungo una passerella che attraversa tutta la lunghezza della stanza, assiste a una particolare sfilata, dove entrano strani animali, creature strampalate che abitano il mondo ultraterreno e figure asiatiche astratte che, come ci suggerisce il foglio di sala, rappresentano “l’astrazione della merce”, “la forma storica del capitale” e “il feticismo del denaro”: si esprimono in una lingua incomprensibile, per noi occidentali, – forse come gli stessi concetti che incarnano.

Un lavoro certosino, curato in tutti i dettagli – dalla costruzione ai disegni tecnici, dai costumi alla pittura di scena, dalle luci e i suoi disegni all’attrezzeria, trucco, fonica, fotografia e utilizzo dei mezzi di comunicazione –, che si colloca alla fine di un percorso per questi studenti dell’Accademia. Un titolo indicativo che, se vogliamo, esprime la voglia e la speranza di continuare esperienze gratificanti e costruttive come queste dell’Accademia di Scenografia di Urbino; dove il cubo di Rubik non sottolinea “l’attesa di un’infinita attesa”, ma una sfida da affrontare nel proiettarsi verso il futuro.

Carlotta Tringali

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