Con questo contributo inauguriamo gli articoli del giovedì di NEOff, una serie di riflessioni che ogni settimana su questo blog guarderanno alle possibilità dello spettacolo dal vivo al di fuori dei suoi luoghi fisici deputati. L’intento di queste riflessioni è quello di accompagnare la rassegna NOW/EVERYWHERE con ricerche, testimonianze e approfondimenti teorici che permettano uno sguardo profondo e orientato alla lunga durata sulle performing art negli spazi digitali.
Quale officina di pensiero di NOW/EVERYWHERE, NEOff condivide il suo presupposto di fondo: osservare queste forme non come surrogati temporanei del teatro, né come suoi successivi step evolutivi, bensì come nuovi ambiti di possibilità che potranno eventualmente, anche dopo la riapertura dei teatri, accompagnare le normali programmazioni. Riprendendo le parole di Gilberto Santini, direttore di AMAT, durante la prima conversazione video di NEOff con Laura Gemini “I doni che ci sta facendo questo tipo di formato sono più alti di quanto non avevamo immaginato”.
Esploriamo quindi questo territorio con un’ottica mobile, che tiene conto degli apporti di discipline consolidate, ma anche del modo in cui l’esperienza viva di questi mesi ha portato sorprese e smentite del nostro sapere sullo spettacolo dal vivo.
In questo primo approfondimento vogliamo guardare a ciò che “già sappiamo” del pubblico del teatro in streaming a partire da alcune delle principali ricerche sul tema.
Da più di un decennio, infatti, assistiamo allo sviluppo del broadcasting di concerti, spettacoli teatrali, di danza e operistici tramite piattaforme digitali online e nei cinema – il cosiddetto “event cinema”. Lanciato dal pioneristico concerto Reality at Riverside di David Bowie del 2003, e dalle produzioni in live streaming della Metropolitan Opera House di New York (2006) e del National Theatre inglese (2010), il fenomeno conosce ora una vasta diffusione. C’è ormai una nutrita letteratura critica, accademica e giornalistica che si è occupata del ruolo del live broadcasting nel panorama delle performing art, delle sue caratteristiche produttive, economiche, estetiche e tecnologiche.
Da questo corpus di studi sta iniziando a emergere anche un bagaglio di conoscenze sul pubblico delle performing art digitalmente mediate. Si tratta di un ambito ancora minoritario di ricerca, fortemente centrato sul mondo anglosassone (e sul Regno Unito in particolare), su grandi produzioni teatrali orientate all’event cinema piuttosto che alle piattaforme digitali, e sul teatro di prosa (in particolare quello shakespeariano) piuttosto che sulla danza e le performance contemporanee. Tuttavia, queste ricerche offrono una serie di conoscenze sul comportamento delle audience che vale la pena recuperare – anche in senso critico – per sostanziare le riflessioni sulla spettatorialità pre-, durante e post- Covid-19.
Vogliamo qui introdurre quello che è ad ora uno degli studi sul pubblico del teatro digitale più ampi in termini di soggetti indagati (pubblici, produttori, distributori) e di metodologie impiegate (sia quantitative che qualitative): From Live-to-Digital: Understanding the Impact of Digital Developments in Theatre on Audiences, Production and Distribution. Questo studio del 2016, svolto da AEA Consulting e commissionato da alcuni e dei più importanti enti teatrali inglesi (Arts Council England, UK Theatre e Society of London Theatre), prende in esame l’intero settore dello streaming teatrale inglese (event cinema, streaming sulle piattaforme digitali ma anche al broadcasting televisivo) guardando alle implicazioni del passaggio dall’evento teatrale dal vivo alla sua esistenza digitale. Si tratta di uno studio corposo, che unisce analisi della letteratura, indagine dei dati di vendita, questionari, interviste in profondità e focus group, del quale possiamo comunque sintetizzare alcuni dei risultati principali:
- Lo scarso impatto del consumo digitale del teatro sulla frequentazione dal vivo. Alla base dello studio vi è infatti la domanda sulla fondatezza del diffuso timore che il teatro in streaming possa erodere la partecipazione teatrale tradizionale. I risultati della ricerca mostrano però come il consumo digitale non sembra affatto diminuire né aumentare in maniera sostanziale la frequentazione. Risulta invece come fra gli spettatori digitali sia più alto il numero di frequentatori “forti” di teatro.
- Il pubblico non guarda al teatro trasmesso digitalmente come un sostituto dell’altro, ma come una modalità parallela e significativa in sé. Gli spettatori interpellati dichiarano un alto grado di soddisfazione rispetto alla loro esperienza di fruizione digitale. Tuttavia, l’esperienza digitale non sostituisce la compresenza fisica, in quanto si continua a considerare quest’ultima tendenzialmente più coinvolgente.
- Il teatro in streaming (ma non l’event cinema) attrae un pubblico tendenzialmente più giovane, meno abbiente e più etnicamente eterogeneo. In particolare, lo studio rileva come questa differenza non sia data solo dal più alto costo economico dell’andare a teatro, ma soprattutto dalla spesa di tempo che questo comporta. Come rilevato anche da un altro recente studio condotto da Erin Sullivan dell’Università di Birmingham, il teatro in streaming permette di coniugare la fruizione con un numero più ampio di attività. Ciò comporta un tipo di visione più suscettibile alla distrazione e all’interruzione, ma anche, proprio per questo, più conciliabile con esigenze familiari e lavorative.
- Le barriere tecniche sono ancora un ostacolo decisivo per la fruizione domestica del teatro in streaming. Più di un terzo degli spettatori ha infatti incontrato difficoltà nelle modalità di accesso ai contenuti, ma soprattutto nel capire quali contenuti fossero effettivamente disponibili. Inoltre, paradossalmente, troviamo come le barriere alla frequentazione date dalla distanza dai principali centri urbani tendano a riprodursi anche nel caso dello streaming, laddove chi vive in zone periferiche riscontra problemi di connessione molto più frequentemente.
- La simultaneità della trasmissione è un fattore importante, ma non sempre fondamentale. Lo studio riporta infatti come fattori pratici (flessibilità della fruizione, risparmio del tempo impiegato per lo spostamento, assenza di sold out) ed economici (risparmio sul costo del biglietto) rappresentino motivazioni più importanti rispetto al fatto che la performance trasmessa sia temporalmente dal vivo. È curioso però notare come chi si occupa della produzione di questi prodotti teatrali sovrastimi fortemente l’interesse del pubblico per la trasmissione in simultanea: il numero dei produttori che pensa che la simultaneità sia fondamentale per il pubblico è infatti tre volte superiore alla percentuale di spettatori che condividono tale dichiarazione.
Quella qui compiuta è una sintesi estrema di una ricerca ben più complessa. Già da questi pochi elementi possiamo comunque trarre importanti spunti di riflessione, specialmente nel confronto con altre rilevanti ricerche sul tema, come Beyond live del 2010, Understanding the impact of event cinema del 2015 e il già citato studio di Sullivan da poco pubblicato. Un tratto comune è proprio la tendenza a considerare le performing art digitalmente trasmesse come forme autonome a cui è riconosciuta una propria capacità di costruire il senso dell’evento. Inoltre, sebbene il pubblico non sia indifferente alle diverse condizioni di fruizione poste dal broadcasting, quando si tratta di valutare la qualità artistica dell’esperienza sono i contenuti delle performance, più che l’esperienza mediale, ad essere menzionati dagli spettatori (sia in positivo che in negativo).
Ritornando al presente e all’esigenza di rendere operativo questo bagaglio di conoscenze, diventa cruciale il tema delle nuove posizioni dello spettatore. La questione non è quella di opporre ideologicamente l’attento spettatore teatrale contro il distratto-ma-relazionale spettatore casalingo, liquidando il primo come residuo di una convenzione novecentesca o il secondo come destinato alla superficialità. Andrebbe invece compreso che cosa può fare lo spettatore assorto che non può fare lo spettatore con le decine di schede aperte, ma anche che cosa può fare lo spettatore libero di stendersi come preferisce che non può fare quello con il posto scomodo. Come il digitale permette allo spettacolo dal vivo di adattarsi a queste diverse capacità risulta secondo noi una domanda decisiva, sia per la ricerca artistica che per quella accademica.
Stefano Brilli – Redazione NEOff
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